sabato 19 febbraio 2011

E mi è piaciuta molto anche la gita all'Etna

L'altra sera ho visto Benigni, come un po' tutti.
Mi è molto piaciuto. Mi è molto piaciuto il suo entusiasta, per niente ideologico -e quindi molto apprezzabile- tentativo di ricostruire un pezzetto d'orgoglio nazionale, collettivo, condiviso. Quello stesso orgoglio che negli ultimi anni -per molti motivi: alcuni solidi, altri meno- si è decisamente sbriciolato, a tutto vantaggio di regionalismi accessori.
Ho davvero apprezzato le critiche ai nostalgici di quelle cacchette dei Borbone e le lodi a tutti i protagonisti dell'avventura risorgimentale. Il tridente Mazzini, Cavour e Garibaldi, ma non solo.
Mi è sembrato un po' forzato il passaggio in cui Benigni ha sostenuto la tesi secondo cui l'unità nazionale è stata una roba di popolo e messa su con la partecipazione delle masse. O meglio: la mia prof del liceo ha illustrato in modo molto più convincente la tesi opposta, anni fa, ma chissenefrega.
Ieri sera Benigni aveva a disposizione un'eternità di tempo televisivo, e l'ha investita nel migliore dei modi: ha raccontato cose buone e appassionanti a un pubblico enorme, cercando di scuoterne pigrizie e disfattismi. E quindi bravo.

Ecco, il senso di questo post è che, personalmente, voglio bene all'Italia ma meno di quanto gliene vuole lui. E ripeto: è stato bravo, ieri sera. Non si può discutere della sua esibizione prescindendo dal contesto in cui è avvenuta e in quel contesto lì, quello è il massimo che si può ottenere, complessivamente.
Eppoi fra disfattismi e orgoglio nazionale, è meglio combattere i primi e predicare quest'ultimo. Detesto i disfattismi politici perché sono quasi sempre fastidiosamente autoconsolatori, e tutta la retorica anti-risorgimentale mi pare -in estrema sintesi, e a essere indulgenti- una roba per fessi e buontemponi.
E però non mi piace nemmeno la retorica di amore patrio, specie quello con la "a" e la "p" maiuscole. Della bandiera italiana, mi frega più o meno di quanto mi frega della bandiera dell'Ecuador: cioè la rispetto molto, e nient'altro. Tutta la spadellata di simboli e significati che ci stanno sotto non mi comunica granché. E' un fascino di cui non sento le vibrazioni.
Quando alle partite attaccano la marsigliese, sento un canto popolare battagliero simbolo della rivoluzione di fine '700, e quando alle partite attaccano l'inno di Mameli sento una bella marcetta che ricorda persone encomiabili. Entrambi gli inni celebrano la vita e la morte di eroi e martiri che hanno dedicato tutto quanto a un'idea di nazione e stato. Di fronte al significato della vita di quelle persone, la mia equivale a un colpo di tosse. Ma anche qui, stesso discorso della bandiera: salvo qualche slancio irrazionale, non mi sono mai sentito in debito con loro più o meno di quanto mi sento in debito con Thomas Jefferson, o Gandhi. Se Benigni avesse dedicato la sua oretta ai padri fondatori americani o al movimento di liberazione messo su dal Mahatma, il suo spettacolo mi sarebbe piaciuto in egual misura.
Perché io, come chiunque altro, in questa nazione e in questo stato ci sono capitato per caso, e not in my name. Niente ho fatto per meritarmeli, niente ho fatto per rivendicarne un sentimento che vada oltre la necessaria appartenenza anagrafica. Voglio bene all'Italia perché ho care le sorti del mondo, e l'Italia -ding!- sta nel mondo. Trovo quindi molto incondizionato il fervore patriottico espresso da molti, e così efficacemente dichiarato da Benigni ieri sera. Anche nella sua versione più sana, feconda e moderata, mi sembra che nell'amor patrio ci sia qualcosa un po' fuori posto.
Vado matto per i quadri di Caravaggio, per Una questione privata di Fenoglio, per le colonne di Bernini in San Pietro e per Ladri di biciclette, però. Hai visto mai che mi facciano andare in pari.

venerdì 18 febbraio 2011

Time marches on

Ho appena realizzato che il mio mito calcistico di gioventù si è ritirato, il mio mito musicale di gioventù è morto da 8 anni e il mio mito cinematografico di gioventù è morto quando io sapevo a malapena chi fosse.

lunedì 14 febbraio 2011

Hai visto mai

Penso che -al di là dei personali scetticismi sul lato "femminista" della manifestazione- se tutti quelli che ieri erano in piazza ci tornassero anche domenica prossima tirando dentro qualche amico, e tutti quelli che ci andrebbero domenica prossima ripetessero il tutto quella successiva e quella dopo quella successiva eccetera, beh, non sarebbe mica male come idea.

giovedì 10 febbraio 2011

Lo farà? Certo che no

Fossi nel Cav? Fossi nel Cav, investirei una grossa quantità di denaro per aprire 20 biblioteche e 20 musei nei 20 capoluoghi di regione italiani: creerei posti di lavoro e favorirei la divulgazione della cultura in Italia. Inattaccabile, giusto, da filantropo vero.

mercoledì 9 febbraio 2011

"E neanche lui"

Efficace vignetta di Makkox per quelli del Post. Non tanto per il disegno, ma per l'acuta riflessione di compiti e caratteristiche del buon politico:
A me viene in mente quella volta che in autostrada ha saltato la coda utilizzando la corsia di emergenza col suo Suv e scorta della digos. Ci faccio una vigna, mi dico. Poi no. E' facile. E' lagnosa. Io avrei fatto diversamente, quella volta, nei suoi panni? La sincerità, intima, profonda, è un faro che ti scova nudo, senza scampo: No! Infine siamo uguali io e Renzo? Forse sì. Cediamo alle stesse tentazioni, siamo deboli. Per questo io non sono consigliere regionale e mai dovrei esserlo.
E neanche lui.

lunedì 7 febbraio 2011

Una roba importante sulla Tv

Trovata qui:
Da questa settimana, come forse i più attenti avranno notato, in tv si sono apparentemente tutti ringalluzziti e hanno tirato fuori il velluto rosso (per modo di dire). Il motivo è molto semplice: è iniziato il cosiddetto periodo di garanzia. Lo so che entriamo in una tematica tecnica, ma vi assicuro che è piuttosto semplice da capire e, sopratutto, spiega mooolte cose sullo stato odierno della televisione italiana.
Il periodo di garanzia è stato introdotto dal Berlusca e Publitalia nella metà degli anni 80 ed è in pratica un sistema che si basa su periodi di programmazione (in genere da settembre a metà dicembre e poi da fine gennaio fino a giugno) in cui le concessionarie pubblicitarie, cioè quelli che vendono gli spazi tv, si impegnano a garantire agli investitori pubblicitari dei livelli di ascolto “alti”; nel caso gli ascolti di quella determinata fascia fossero minori dei livelli promessi, la concessionaria si impegna a rendere parte dei soldi (ovvero regalare altri spazi). Ora, capite bene, che questo tipo di sistema poteva essere buono negli anni 80, quando la pubblicità costava poco e i mercati televisivi erano poco competitivi. Non mi pare sia la situazione odierna. Il problema è che questo meccanismo induce a un'immensa pigrizia tutti coloro che operano nella tv: da una parte gli autori e i programmatori tv che non sperimentano e non rischiano cose nuove, dall'altra i pubblicitari e i centri media che mostrano ai loro clienti-inserzionisti solo il dato di ascolto grezzo (il numero delle teste, lo share) e non consigliano di investire su altri programmi-orari-spazi che non siano quelli del prime time.
Risultato: la melassa televisiva (parlo di rai e mediaset) a cui ormai siamo abituati. Prodotti medi per pubblico medio con la licenza media. Per questo nessuno lo cambia. Va bene a tutti così: non è rischioso e garantisce quel livello d'entrate necessario e sufficiente per mandare avanti il sistema e far guadagnare tutti. Paradossalmente accede che in canali non pubblicitariamente strategici come RaiTre, si prova a fare programmi diversi (tipo “Vieni via con me”) che hanno un grandissimo e inaspettato successo, ma che pubblicitariamente alla fine non incidono come invece potrebbero fare. Quindi alla Rai non convengono (ah, perché il periodo di garanzia è entrato in vigore anche per Sipra e il servizio pubblico Rai, eh).
Basterebbe vedere cosa fanno altrove, negli altri paesi europei, dove il dato grossolano è sostituito da meccanismi di valutazione del dato di ascolto più puntali e precisi legati agli obiettivi di comunicazione, e da valutazioni post-programma (tipo, tu inserzionista ci dai più soldi se il programma ha superato di gran lunga gli obiettivi di comunicazione che ti eri prefisso). Insomma, si mettono tutti in gioco.
Quindi quando criticate il livello medio dei programmi tv di rai e mediaset pensate anche alle cause.

mercoledì 2 febbraio 2011

A horse, a horse. My kingdom for a horse, rattling on magnetic fields

Qualche tempo fa, ho scritto un post in cui accennavo alla mia sopravvenuta abitudine di comprare cd. I prezzi sono molto scesi, recentemente, e a me la musica rock garba parecchio. Quindi due soldi ce li spendo volentieri, anche per farmi perdonare la quantità di canzoni scaricata illecitamente negli scorsi anni.
Il problema è che la crisi del settore, unita alla mia personale passione per l'oggetto-cd, sta mettendo in crisi non tanto le mie finanze personali -quelle esistono a malapena- ma la mia ancor più difficilmente rintracciabile autostima: continuo a promettermi di non comprare più cd, ma ogni volta che vengo in università faccio un giro in FNAC ed esco con almeno 5-6 cd alla volta. Esco, li guardo e sono contento. Poi, prendo a darmi del pirla perché ho speso soldi risparmiati negli anni scorsi, o generosamente regalatami dai miei, solo per un pallino personale.
I due sentimenti si mordono la coda, e chissà quando ne uscirò.
Comunque, oggi, fra gli altri, ho comprato questo cd.


Ha una delle copertine più strafighe di sempre, è pieno di belle canzoni e l'ho pagato 5 euro.