Quindi Obama ha stravinto le elezioni. Nel 2000 non è stato ammesso alla convention democratica per via di una banale dimenticanza, due anni fa -addetti ai lavori a parte- era uno sconosciuto e martedì scorso ha stravinto le elezioni, raccogliendo il consenso di più di sessantacinque milioni di cittadini americani. Da gennaio governerà gli Stati Uniti. Come lo farà, con quali risultati e con quali fallimenti, è un altro paio di scarpe, rispetto a quel che è riuscito a fare sinora. Non ha importanza, perchè l'unico tempo verbale con cui se ne può parlare è quello del futuro, l'unico modo quello dell'ipotesi. E verrà valutato con altri strumenti.
Pensiamo a quel che Obama ha fatto, intanto:
Sono stato su fino alle 4 del mattino e rotti, la notte in cui Obama è diventato presidente. Passione per la modernità internettara a parte, a un bel momento mi sono chiesto chi diavolo me lo faceva fare, di rinunciare al sonno in attesa di essere sicuro della vittoria: in bilico c'era ben poco, e il giorno dopo tutto sarebbe stato definitivo. Lasciamola qui sta domanda, che poi ci torno.
Pensiamo a quel che Obama ha fatto, intanto:
Sono stato su fino alle 4 del mattino e rotti, la notte in cui Obama è diventato presidente. Passione per la modernità internettara a parte, a un bel momento mi sono chiesto chi diavolo me lo faceva fare, di rinunciare al sonno in attesa di essere sicuro della vittoria: in bilico c'era ben poco, e il giorno dopo tutto sarebbe stato definitivo. Lasciamola qui sta domanda, che poi ci torno.
Vi ricordare la morte del Papa? E i giorni in cui centinaia di migliaia di persone si recarono a Roma per andare a salutarlo un'ultima volta? In quell'occasione, oceanica come poche altre, si è avuta la chiara percezione di una necessità nuova e vecchia, al tempo stesso: al netto della sempre crescente mediatizzazione del mondo in cui viviamo, c'è bisogno, un gran bisogno, di partecipare ad un grande evento, di questi tempi. Di stampare un'orma nel marmo del passato. C'è un desiderio, in relazione ad accadimenti umani che travalichino il basso profilo della cronaca e si alzino dritti come filo a piombo nell'orizzonte della storia, di poter dire, chissà con che tono: "Io c'ero, quella volta."
Vi ricordate John Fitzgerald Kennedy? L'altro carismatico presidente con cui, nonostante le facili forzature, Obama effettivamene condivide delle caratteristiche? A un certo punto lui si è inventato un'immagine strepitosa e su di questa ha investito una linea di discorsi di grande successo: la nuova frontiera americana. Formidabile, perchè in tre parole racchiudeva una storia, una cultura e una retorica comuni a un'intera nazione. Efficacissima, in quel che doveva fare: muovere, convincere e spostare le energie dei cittadini. Al di là degli slogan e dei discorsi, comunque ottimi e da pelle d'oca per dei giovani pirla appassionati di rock e cinema made in USA come me, Obama ha dimostrato una bravura enorme nel rappresentare su sè stesso e in tutto quello che faceva un'idea gigante, che moltissimi in America e nel mondo accarezzavano in silenzio: il cambiamento. Non solo e non tanto rispetto alle scelte politiche dell'amministrazione Bush -per quelle bastava la Clinton- comunque giudicate miopi e fallimentari, ma cambiamento rispetto a un tradizionale modo di risolvere i problemi e affrontare le sfide della contemporaneità di cui Obama non può essere titolare, perchè per età, curriculum e cultura non ne è neanche lontano parente. Poteva dire tutto quello che gli pareva, ma il messaggio che passava era sempre il solito: "Avete fatto voi, negli ultimi 30 anni. Avete fatto bene e avete fatto male. Ora tocca a noi, quelli che sono cresciuti quando avete fatto voi. Dateci spazio e lasciateci provare." E magari qui cedo il passo ad un certo sentimentalismo, ma che io ricordi, nella mia breve vita cominciata nei primi anni '80, nessun politico era mai riuscito a saldare su di sè, sul suo corpo, sulla sua immagine e su tutte le più banali e semplici declinazioni delle sue attività una cosa tanto grande, alta, eterea e commovente come un'idea.
Fra molte altre cose che trascuro per motivi di spazio e competenza insieme, mi sembra che quel che deve fare un politico per essere un grande politico, oggi, è camminare in costante equilibrio su un muretto scivoloso. Da una parte c'è l'esigenza della popolazione di riconoscersi ed identificarsi nel suo leader, dall'altra c'è il preciso compito del politico di presentarsi come avanguardia e rappresentante di un'élite, che per definizione non può limitarsi ad intascare passioni e lamentele dei cittadini, come bussola politica, e deve anzi proporsi come faro, rispetto ad esse. Il grande politico non dev'essere uno del popolo ma contemporaneamente deve stabilire un contatto saldissimo con gli elettori fra i quali non si deve confondere, e che deve convincere di essere il migliore candidato. Deve essere tra di noi e sopra noi, mai con noi e come noi. Barack Obama è il più splendido esempio di come sia possibile camminare su quel muro, e di quanto straordinari possano essere i risultati raggiunti da chi possiede simili capacità. E' un brillante avvocato laureatosi ad Harvard, un uomo colto, compente e capace senza particolari scheletri nell'armadio. Un esponente della cosiddetta classe dirigente. Ma Obama, in misura complementare alle sue caratteristiche elitarie, è quanto di meno politico possa essere percepito dalla popolazione. E' giovane, assolutamente estraneo agli apparati di partito (la più autorevole rappresentante di questi l'ha sfidato alle primarie, e lui l'ha battuta contro molti pronostici) e ad ogni cosa accaduta in America nel ventesimo secolo. Come molti altri candidati del Partito democratico, Obama se l'è filata con rockstar e miti di Hollywood. Ma quando vedevi Bono con Kerry o Clinton intuivi subito quel che c'era d'inconfessabile: gli sta facendo un piacere, lo stima e tutto quanto, ma poi morta lì. Con Obama no, con lui è palpabile una sensazione di compatibilità e affinità rispetto a quelle icone pop: perchè lui stesso lo è, e il suo modo di comunicare spesso segue le regole di quel mondo lì.
Quasi dimenticavo: Obama è un fratello nero. Non ha fatto nulla per esserlo, badate, c'è nato, così. Ma solo i fessacchiotti e i tagliagole possono sottovalutare il potere simbolico e le potenziali emancipazioni consegnateci dalla sua elezione in un Paese la cui dichiarazione d'indipendenza recita "Tutti gli uomini sono creati uguali" e in cui lo schiavismo prima e la segregazione poi hanno dettato legge e provocato disastri.
Ecco, un po' confusamente, nonostante la lunghezza, queste mi sembrano le cose principali da dire su Obama e sul suo successo, che poi sono le risposte alla domanda che mi facevo da solo, l'altra notte: con l'elezione di Obama è accaduto un grosso e positivo evento globale, figlio delle straordinarie bravure del singolo che lo rappresenta, affratellato alle speranze e alle passioni di milioni di persone alla ricerca di un'altra nuova frontiera in cui piantare la bandiera di un'idea, e dirlo con grande e condivisa, quindi politica felicità: io c'ero, e partecipavo, quella volta in cui Obama venne eletto presidente.
3 commenti:
Ci hai provato a dimenticarti del fatto che un nero è salito alla casa bianca. Ma non hai potuto non sottolinearlo. Giusto così. Io poi rimango dell'idea che questo sia di gran lunga l'elemento più importante, ancor più del fatto che Obama sia divenuto un'icona pop piuttosto che politica (cosa che per altro non trovo così entusiasmante). Poi forse hai ragione tu. Godiamoci ciò che Obama ha fatto (una vittoria grandiosa) senza pensare a quello che sarà, anche se va detto che davanti ai problemi reali Springsteen e simili amici non ti aiutano più di tanto.
No beh, c'era un plot da seguire, ho lasciato per ultimo l'elemento di cui tutti hanno discusso, trascurando il resto, che invece pesa di più.
Attenzione, però: non ho scritto che Obama è divenuto un'icona pop piuttosto che politica, ma che tiene insieme entrambe le cose. Che è meglio.
Ok, icona pop e politica esistono entrambe, ma non puoi negare che il primo elemento sia preponderante. La favola Obama dice Scurati.
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