Nel suo bell'editoriale di oggi, Mario Calabresi riprende le teorie dei think tank della destra americana sulla migliore strategia da adottare in una campagna elettorale.
Ci ha scritto un libro anche Daniele Luttazzi: si tratta di raccontare il mondo, di elaborare la cosiddetta "narrazione emotiva" che convinca l'elettorato. Trovata quella, il resto è in discesa.
Non un candidato carismatico, non un programma convincente, non una lista seria e competente: certo, tutte queste cose sono importanti, ma meno di un'efficace rappresentazione della realtà.
Sappiamo tutti che i periodi di profonde crisi economiche favoriscono forze politiche aggressive e in posizione agonista col cosiddetto sistema; ecco perchè Grillo, la Lega e Di Pietro sono i veri vincitori di queste elezioni: hanno trovato un'angolazione dalla quale raccontare il loro mondo, e l'hanno raccontato urlando e indignandosi, suscitando urla e indignazioni, cavalcando la rabbia di un elettorato stretto -schematizzando parecchio- fra paura e frustrazione.
E hanno vinto perchè hanno ritenuto di adottare una retorica di divisione ("noi e loro"), che ha irrobustito il pavimento sotto i piedi di chi ha ritenuto di votarli. Nel segno delle più classiche retoriche di destra, sono stati aggressivi, complottisti e consolatori.
Resta da capire se la rabbia di chi ha votato possa produrre serenità e benessere o, come è lecito temere, ulteriore rabbia.
E resta da capire cosa voglia fare il Pd, a proposito di tutto ciò:
Ci ha scritto un libro anche Daniele Luttazzi: si tratta di raccontare il mondo, di elaborare la cosiddetta "narrazione emotiva" che convinca l'elettorato. Trovata quella, il resto è in discesa.
Non un candidato carismatico, non un programma convincente, non una lista seria e competente: certo, tutte queste cose sono importanti, ma meno di un'efficace rappresentazione della realtà.
Sappiamo tutti che i periodi di profonde crisi economiche favoriscono forze politiche aggressive e in posizione agonista col cosiddetto sistema; ecco perchè Grillo, la Lega e Di Pietro sono i veri vincitori di queste elezioni: hanno trovato un'angolazione dalla quale raccontare il loro mondo, e l'hanno raccontato urlando e indignandosi, suscitando urla e indignazioni, cavalcando la rabbia di un elettorato stretto -schematizzando parecchio- fra paura e frustrazione.
E hanno vinto perchè hanno ritenuto di adottare una retorica di divisione ("noi e loro"), che ha irrobustito il pavimento sotto i piedi di chi ha ritenuto di votarli. Nel segno delle più classiche retoriche di destra, sono stati aggressivi, complottisti e consolatori.
Resta da capire se la rabbia di chi ha votato possa produrre serenità e benessere o, come è lecito temere, ulteriore rabbia.
E resta da capire cosa voglia fare il Pd, a proposito di tutto ciò:
Bersani però non sembra preoccuparsene. Almeno finora, è rimasto fedele non solo al suo personaggio e al suo carattere, ma soprattutto al mandato che ha ricevuto dagli iscritti e dagli elettori del suo partito. C’è da augurarsi che gli reggano i nervi, nei prossimi tre giorni, perché nei prossimi tre anni l’intero centrosinistra avrà molto bisogno di dirigenti capaci di star fermi sulle proprie gambe, e per questo capaci anche di confrontarsi con il proprio mondo, con i propri sostenitori e con i propri critici, senza disprezzarli né vezzeggiarli (che è poi la peggiore forma di disprezzo). Capaci insomma di mostrarsi, al tempo stesso, più severi e più buoni. E cioè l’esatto contrario di quello che si è visto sin qui, nel corso di una lunga, troppo lunga stagione costellata di dirigenti che tante volte al proprio popolo sono apparsi insieme deboli e prepotenti, remissivi e vendicativi, indulgenti e incattiviti.
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