Bellissimo post su una delle band più strambe della storia (che però a me piace abbastanza). Ne incollo una lunga parte perchè è davvero spassoso:
L’Islanda ce l’ha questa tendenza ad ammorbare le vite dei popoli civilizzati con le sue flatulenze. Ora tutti pensano che la nube tossica del vulcano preistorico sia il più terribile flagello che l'Islanda abbia mai prodotto, ma questo solo perché, di quei tutti, evidentemente nessuno ascolta i Sigur Rós.
Nemmeno io ascolto i Sigur Rós, sono venuto a sapere della loro esistenza giusto qualche anno fa, per caso, quando alla radio un tizio ha detto che i Sigur Rós, insomma, non ne capiva il senso, e io non sono stato lì a indagare, e per tutti gli anni successivi ho vissuto benissimo senza i Sigur Rós e la loro sedicente musica, e ora che sono costretto ad ascoltare i Sigur Rós e la loro sedicente musica tutti i maledetti giorni della maledetta settimana, ricordo quasi con nostalgia quei tempi in cui potevo essere quel genere superiore di persona che disprezza una cosa senza conoscerla, nel caso particolare una musica (se così vogliamo chiamarla) senza averla mai ascoltata. È un comportamento deprecabile e ignorante, ma due volte su tre ci prendi.
Ora, si dà il caso che Ema ascolti i Sigur Rós. Non li ascolta soltanto: si fa di Sigur Rós. (Anche in questo momento li sta ascoltando, neanche me n’ero accorto tanto mi sono abituato ad averli come disgraziato sottofondo). Li venera e ne è chissà come dipendente, si fa queste lunghe pere di Sigur Rós mentre studia, e lei, quando non salva le vite, studia molto, stiamo parlando di una scienziata, una che, vedrete, vincerà il Nobel o qualcosa, e quando glielo daranno io sarò là, probabilmente sordo perché mi sarò cavato da molto tempo le coclee con un ferro da calza, e quando la chiameranno sul palco del Nobel per fare il discorso autocelebrativo, io, coi capelli bianchi sparati da tutte le parti, le ciabatte, la faccia di cartapesta alla Schopenhauer e una bottiglia di vino vuota nella tasca della vestaglia a quadrettoni verdi e rossi, mi alzerò, comincerò ad arrancare verso il podio brandendo il mio sigaro e gracchiando “ve la dico io una cosa sulla dottoressa…”, prima di essere placcato dalla sicurezza, e il punto non è quello che volevo dire sulla dottoressa, ma il fatto che sarò completamente rimbambito, oltre che sordo. E questo per colpa, principalmente, dei Sigur Rós, che con questi cori e i piatti e i crescendo e le aurore ti tirano definitivamente scemo.
E c’è un motivo. Da quanto ho capito, il cantante dei Sigur Rós ha iniziato a fare – aperte virgolette – musica – chiuse virgolette – perché da piccolo gli è rimasta la testa schiacciata in non so quale pressa e da allora soffre di terribili acufeni che soltanto le sequenze di suoni che gli capita di assemblare riescono a lenire, giustificazione eccellente per quella specie di richiamo per balene (per citare un lettore illuminato che mi ha scritto e che condivide lo stesso tipo di sensazione rispetto alla presunta produzione artistica dei Sigur Rós) che è riuscito non so come a spacciare per musica alla mia ragazza, peccato che a me gli acufeni li facciano venire, e io un acufene ce l’ho già, solo che ho avuto fortuna e con il tempo si è attenuato, oppure il mio orecchio ha riequalizzato tutto il complesso appercettivo in modo da non farmelo notare più, comunque il problema è che le composizioni dei Sigur Rós sono, di fatto, una sorta di grosso acufene oggettivo, come il lamento di uno che ha il mal di pancia, che ha mangiato tanta, tanta, tanta verdura infetta o maionese scaduta o le uova con la salmonella e ora ha tutta questa dolorante e pulsante roba schifosa nei visceri e se ne sta sulla tazza con le mani sul ventre sperando nella liberazione ma, sorpresa!, scopre di non avere l’ano. Un lamento così.
Nemmeno io ascolto i Sigur Rós, sono venuto a sapere della loro esistenza giusto qualche anno fa, per caso, quando alla radio un tizio ha detto che i Sigur Rós, insomma, non ne capiva il senso, e io non sono stato lì a indagare, e per tutti gli anni successivi ho vissuto benissimo senza i Sigur Rós e la loro sedicente musica, e ora che sono costretto ad ascoltare i Sigur Rós e la loro sedicente musica tutti i maledetti giorni della maledetta settimana, ricordo quasi con nostalgia quei tempi in cui potevo essere quel genere superiore di persona che disprezza una cosa senza conoscerla, nel caso particolare una musica (se così vogliamo chiamarla) senza averla mai ascoltata. È un comportamento deprecabile e ignorante, ma due volte su tre ci prendi.
Ora, si dà il caso che Ema ascolti i Sigur Rós. Non li ascolta soltanto: si fa di Sigur Rós. (Anche in questo momento li sta ascoltando, neanche me n’ero accorto tanto mi sono abituato ad averli come disgraziato sottofondo). Li venera e ne è chissà come dipendente, si fa queste lunghe pere di Sigur Rós mentre studia, e lei, quando non salva le vite, studia molto, stiamo parlando di una scienziata, una che, vedrete, vincerà il Nobel o qualcosa, e quando glielo daranno io sarò là, probabilmente sordo perché mi sarò cavato da molto tempo le coclee con un ferro da calza, e quando la chiameranno sul palco del Nobel per fare il discorso autocelebrativo, io, coi capelli bianchi sparati da tutte le parti, le ciabatte, la faccia di cartapesta alla Schopenhauer e una bottiglia di vino vuota nella tasca della vestaglia a quadrettoni verdi e rossi, mi alzerò, comincerò ad arrancare verso il podio brandendo il mio sigaro e gracchiando “ve la dico io una cosa sulla dottoressa…”, prima di essere placcato dalla sicurezza, e il punto non è quello che volevo dire sulla dottoressa, ma il fatto che sarò completamente rimbambito, oltre che sordo. E questo per colpa, principalmente, dei Sigur Rós, che con questi cori e i piatti e i crescendo e le aurore ti tirano definitivamente scemo.
E c’è un motivo. Da quanto ho capito, il cantante dei Sigur Rós ha iniziato a fare – aperte virgolette – musica – chiuse virgolette – perché da piccolo gli è rimasta la testa schiacciata in non so quale pressa e da allora soffre di terribili acufeni che soltanto le sequenze di suoni che gli capita di assemblare riescono a lenire, giustificazione eccellente per quella specie di richiamo per balene (per citare un lettore illuminato che mi ha scritto e che condivide lo stesso tipo di sensazione rispetto alla presunta produzione artistica dei Sigur Rós) che è riuscito non so come a spacciare per musica alla mia ragazza, peccato che a me gli acufeni li facciano venire, e io un acufene ce l’ho già, solo che ho avuto fortuna e con il tempo si è attenuato, oppure il mio orecchio ha riequalizzato tutto il complesso appercettivo in modo da non farmelo notare più, comunque il problema è che le composizioni dei Sigur Rós sono, di fatto, una sorta di grosso acufene oggettivo, come il lamento di uno che ha il mal di pancia, che ha mangiato tanta, tanta, tanta verdura infetta o maionese scaduta o le uova con la salmonella e ora ha tutta questa dolorante e pulsante roba schifosa nei visceri e se ne sta sulla tazza con le mani sul ventre sperando nella liberazione ma, sorpresa!, scopre di non avere l’ano. Un lamento così.
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