Un po' condizionato dalla baraccata di premi che si è portato a casa, un po' incuriosito dalla riflessione scritta a proposito da Francesco Piccolo, un po' perché andare al cinema è sempre bello, ieri pomeriggio ho visto The Artist.
E ora sarebbe tanto invitante scrivere che è una vaccata di film, scalare la montagna dell'orientamento automatico di certe snobberie cinematografiche, avventurarsi nella denuncia del conformismo di molti critici e recensori con il loro pubblico di lettori al seguito: elitario e al tempo stesso nostalgico dei cari vecchi tempi suoi.
Sarebbe altrettanto invitante celebrare The Artist come opera trasgressiva dal punto di vista espressivo e vincente sul piano commerciale, evidenziare il gioco di specchi fra l'ambientazione Anni Venti e la più sostanziosa serie di riferimenti agli Anni Quaranta, cesellare la dolcezza espressiva di una regia leggera e disperata insieme.
Il problema è che a me The Artist è -semplicemente, banalmente, sostanzialmente- piaciuto. E' un bel film, una bella metapippa che sfrutta il passaggio dal muto al sonoro -che forse Piccolo sopravvaluta, rispettivamente agli equilibri di forma e contenuto- per raccontare una storia d'amore e mettere in piedi un finale gustosissimo. Un bel film, dall'inizio alla fine: come ne ho visti a centinaia.
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