Sul Foglio di qualche giorno fa, Adriano Sofri ha scritto altre e amare cose, sulla situazione delle carceri italiane:
"Non è vero che siamo tornato alla situazione precedente all’indulto. Coi numeri, ci siamo quasi. Con lo stato degli animi, siamo sprofondati. C’è più disperazione fra i detenuti, più rassegnazione esausta fra chi deve occuparsene. Le persone brave, che non odiano il proprio prossimo e non si sfogano su di lui, non sanno dove sbattere la testa. Le persone incattivite trovano l’occasione per dare il peggio di sé, per la sensazione che gli altri, e le autorità, abbiano gettato la spugna.
[…]
C’è una responsabilità universale in una classe politica che quando finalmente arrivò a votare un atto di clemenza non seppe tramutarlo in un atto di conciliazione e farlo seguire dalle misure che ne avrebbero consolidato l’efficacia, e invece si diede a una sconfessione o a una dimissione che ne assicurarono lo svuotamento. Responsabilità ancora più grave in chi, detestando la clemenza, le sobillò contro il sentimento pubblico, per impedire le misure complementari che avrebbero permesso di prendere fiato, e ricominciare dopo uno sgombero di macerie. Le macerie vincono. Ora, si ammucchiano esseri umani di terza scelta, con il fatalismo col quale si ammucchia monnezza nelle strade. Per la monnezza delle strade si è almeno provata, a un certo punto, vergogna. Il mondo ci guardava. Per la monnezza umana niente: il mondo non ci guarda, e poi ha la sua."
"Non è vero che siamo tornato alla situazione precedente all’indulto. Coi numeri, ci siamo quasi. Con lo stato degli animi, siamo sprofondati. C’è più disperazione fra i detenuti, più rassegnazione esausta fra chi deve occuparsene. Le persone brave, che non odiano il proprio prossimo e non si sfogano su di lui, non sanno dove sbattere la testa. Le persone incattivite trovano l’occasione per dare il peggio di sé, per la sensazione che gli altri, e le autorità, abbiano gettato la spugna.
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C’è una responsabilità universale in una classe politica che quando finalmente arrivò a votare un atto di clemenza non seppe tramutarlo in un atto di conciliazione e farlo seguire dalle misure che ne avrebbero consolidato l’efficacia, e invece si diede a una sconfessione o a una dimissione che ne assicurarono lo svuotamento. Responsabilità ancora più grave in chi, detestando la clemenza, le sobillò contro il sentimento pubblico, per impedire le misure complementari che avrebbero permesso di prendere fiato, e ricominciare dopo uno sgombero di macerie. Le macerie vincono. Ora, si ammucchiano esseri umani di terza scelta, con il fatalismo col quale si ammucchia monnezza nelle strade. Per la monnezza delle strade si è almeno provata, a un certo punto, vergogna. Il mondo ci guardava. Per la monnezza umana niente: il mondo non ci guarda, e poi ha la sua."
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