-Poi il post è diventato qualcos'altro, rispetto a quello che voleva essere. L'ho scritto in due giorni diversi per pubblicarlo lunedì mattina. Prendetelo come vi pare- Da qualche parte,
qui, Nich mi chiede di rispondere a una domanda. Rispondo a casa mia, che col tutto il tempo che ci metto, almeno aggiorno il blog, nel frattempo:
Parte breve. Secondo me ci sono altri elementi da considerare.
Parte medio-breve. Attribuire in massima parte agli israeliani la responsabilità della nascita e del successo di movimenti islamisti radicali è parziale e limitante: ricorda molto la posizione secondo cui le responsabilità degli attentati dell'11/9 erano delle politiche americane.
Parte lunga-lunga: parliamone, di Hamas.
Premessa: l'idea secondo cui "
Io non sono razzista, ma per forza i musulmani sono così, lo dice il Corano di fare la guerra santa agli infedeli, è una religione antidemocratica" è esattamente quella contro cui mi batto, per quel che conosco. Perchè secondo me scambia il ramo per la radice.
Svolgimento: ho dei ricordi della storia del pensiero islamico, del ruolo fondamentale che ha giocato nella conservazione, trasmissione e poi diffusione dei testi dell'antichità greco-romana mentre in Europa Aristotele non se lo filavano nemmeno vescovi e barbe lunghe (anche perchè il greco mica lo sapevano, loro). Ho in mente qualche nozione delle quattro scuole interpretative del Corano, del dibattito sulla sua creazione e non creazione. Qualcosa so ancora, sulla contraddittorietà di pensiero (che è inevitabile, quando tutto nasce da un libro di millequattrocento anni fa che mescola fede e diritto, costruendovi un modello di società) con cui il mondo islamico ha risposto all'avvento della modernità, cioè all'ondata colonialista europea prima e al crollo dell'impero ottomano poi. Insomma, saprei dire due scemenze, basandomi su quello che so, a proposito dello spartiacque rappresentato dai
Fratelli musulmani: movimento islamico internazionale (egiziano, soprattutto) nato negli anni '20.
Ecco, loro erano di quelli eterogenei, ambigui, se vogliamo. Di quelli che volevano convertire tutto il creato (l'islam è proselitista, mica si inventavano nulla. E' che c'è modo e modo, secondo il Corano, di stare al mondo e di confrontarsi con le altre religioni) ma -dicevano- senza la spada. Solo col libro e con la parola del profeta. Poi un po' hanno cambiato idea, un po' no. Un po' hanno detto che la spada in fin dei conti, un po' no. Un po' hanno rivendicato atti di violenza, un po' no. Un po' hanno detto che l'Olocausto era una messa in scena, un po' no. Eccetera. Di certo, negli anni '50, si opposero molto alle politiche di rinnovamento tanto care a Nasser, il quale decise di perseguitarli duro, torturarli e ammazzarli. Il che ebbe l'effetto di radicalizzare le idee del movimento. Fra gli ammazzati, ce n'era uno che si chiamava Sayyid Qutb, e che dopo la morte allargò la sua popolarità. E' considerato il capofila dell'islamismo radicale, cioè di quella scuola interpretativa del Corano più oscurantista e totalizzante.
Lui era uno di quelli convinti della necessità di ripristinare l'istituzione del califfato post-maomettano, e basare ogni legge su una severa interpretazione della sharia. Non condannò mai, nelle sue idee, quella di praticare atti di terrorismo e di spiegarli con la logica del jihad (E' maschile, son sicuro. E il jihad, nel Corano, è un concetto molto più articolato e multiforme di come lo vogliono vendere fondamentalisti e Lega Nord). Visitò gli Stati Uniti, Qutb, ne pensò tutto il male possibile, e guai a parlargli degli incontri di pugilato. Non voleva saperne del sionismo, tantomeno del neonato stato di Israele. Questo per inquadrare il tipo, dal punto di vista politico. Suo fratello si chiamava Mohammed. Mohammed riuscì nell'intento di divulgare le idee del fratello: scappò dall'Egitto e, con altri fratelli musulmani, si rifugiò in Arabia Saudita. Là pubblicò gli scritti di Sayyid e divenne insegnante di studi islamici nell'università di Jedda, dove fra i suoi allievi ebbe -guess who?- Osama bin Laden. Da qui la tendenza a individuare Sayyid Qutb quale uno dei pensatori più influenti per Al Qaeda.
Tutto questa secchionata (ultrapanoramica, ma stamo a bloggà) per arrivare al punto. Hamas è nato da un'ala radicale dei fratelli musulmani. Il suo atteggiamento nei confronti di Israele è ideologicamente figlio di quel mondo lì. L'impalcatura teorica su cui basa le sue lotte è l'idea di clan medievale su scala globale. Hamas venera Sayyid Qutb come martire ucciso dai musulmani traditori della fede più pura. Hamas comunque odierebbe uno stato ebraico. Hamas sostiene una visione della contemporaneità non conciliabile con le istanze illuministe e di tolleranza alle quali tutti noi ci rifacciamo, e che il cielo le conservi. Dei nodi attraverso cui queste ultime devono passare per coabitare con la fede dei cinque pilastri, questa tendenza ha una sola risposta: lo scontro violento, anche terrorista.
Conclusione: la presenza di un movimento simile in lotta contro Israele si spiega anche indipendentemente dal conflitto arabo-israeliano. Dire che Hamas è (solo, o soprattutto) il risultato dell'atteggiamento di Tel Aviv, secondo me, significa non fare i conti con le caratteristiche teoriche, autentiche e peculiari su cui si basa il partito. A bocce ferme, per di più. A prescindere, cioè, dalle condizioni materiali di vita dei palestinesi nella striscia e dalla frustrazione dovuta alla miseria cresciuta nella seconda generazione dei profughi di quei territori, favorendo il loro consenso verso estremismi fanatici.
Poi, certo, la spirale si autoalimenta. Certo, si aggiungono le condizioni materiali di vita. Certo, si installa anche la frustrazione dovuta alla miseria. E certo, rispetto a questi elementi (insieme alle leadership palestinesi) anche Israele ha delle responsabilità, che devono essere analizzate a fondo dalle sue classi dirigenti. Ma del brodo ideologico che bolle da quelle parti Israele non ha nessuna responsabilità, fatta salva quella di esistere.