Ieri è uscito il primo numero del supplemento culturale domenicale del Corriere, La Lettura. Che cosa siano, in media, le pagine culturali del Corriere è un tema forse eccessivamente trascurato. In generale, si tratta di due o tre sfogliate che, a giro, dicono della scoperta di un nuovo carteggio fra Mussolini e la Petacci, raccontano una polemica letteraria relativa a Moravia e smazzano noiosamente la recensione di un romanzo portoghese che un critico ha adorato e che il pubblico non ha comprato. L'impostazione complessiva non prevede che i beni culturali facciano parte di un mercato economico vasto e multiforme. La cultura è concepita e divulgata costantemente come qualcosa di astratto, di difficile accesso, con un piede nelle università e l'altro nelle piccole librerie. Nell'ambito della distinzione novecentesca* fra cultura alta e cultura bassa, oggi disintegrata dall'estetica postmoderna, dalle evoluzioni dell'industria culturale di massa e più in generale dal razionale senso delle cose, il Corriere sembra aderire, quasi per partito preso, alla cultura alta, ai grandi dibattiti, alle cattedre accademiche, alla produzione critica di Segre sui ghiribizzi narrativi di Gadda, del tardo Gadda. Nel frattempo altre cattedre accademiche della penisola, pur occupate da docenti prossimi alla pensione, concedono agli studenti tesi di laurea su singoli episodi de I Simpson e sulle serie Tv americane, organizzano corsi in cui danno da leggere Harry Potter e Vonnegut, Matheson e Ammaniti: ma vaglielo a spiegare, in Solferino.
Naturalmente ci sono delle eccezioni, ma la tendenza di quelle pagine è pigra, invecchiata, statica e del tutto estranea al più vago senso di una cultura popolare e di linguaggi espressivi dinamici e globalizzati. Si parla di Foster Wallace solo dopo la sua morte, i cd dei Radiohead si beccano sei righe di recensione in fianco al Greatest hits di Mango, la lenzuolata più giovanilistica è in grado al limite di mettere insieme un pezzo sul cinema pulp di Quentin Tarantino: nel frattempo, i primi fan di Tarantino hanno messo su famiglia. E a un certo punto, fermi tutti: è uscito l'ultimo libro di Alberto Bevilacqua.
Finito il pippotto, La lettura promette bene. Le firme di questo numero sono piuttosto interessanti, la scelta dei temi è una boccata d'aria fresca e dal punto di vista grafico ci sono idee e progetti un filo innovativi.
Sul primo numero, per chiudere l'introduzione, c'è un bel pezzo di Francesco Piccolo. Io ho una grande ammirazione per Piccolo. Mi sono piaciuti diversi film di cui ha scritto la sceneggiatura (La prima cosa bella e Habemus Papam, per dire i primi due che mi vengono in mente) e trovo in molti suoi articoli una lucidità e un'indipendenza molto rare. Parte dal racconto di un aneddoto relativo ad Antonio Scurati per poi prodursi in una riflessione interessante sul ruolo dello scrittore e dell'intellettuale. Ho scritto anch'io su questo argomento qualche settimana fa, e sono molto contento di vedere che Piccolo ha scritto cose affini alle mie. Inutile dire che lui le ha scritte meglio:
Ma il problema più serio è che, scendendo in piazza, formulando invettive sarcastiche, firmando innumerevoli appelli civili ed etici, noi scrittori veniamo considerati (e ci consideriamo), per questo, degli scrittori di maggior valore. Anzi, direi di più. Man mano che passano gli anni, alcuni di noi sostituiscono la furia creativa con una furia civile. Quanta meno energia creativa fluisce nel sangue, tanta più passione civile ci possiede. Ecco, non vorrei che accadesse addirittura questo: che quando la capacità di scrivere dei bei libri affievolisce, possiamo credere di sostituirla con editoriali accesi di indignazione. Perché, pur essendo un diritto, non è il compito. L’unico compito che hanno gli scrittori è quello di scrivere, o almeno cercare di scrivere, dei libri che prima loro stessi e poi gli altri giudichino — cercando di dirlo nel modo più elementare e ingenuo possibile — belli.* Sì, lo so, caro commentatore: già dentro la scuola romantica si era posto il tema. Grazie. Ciao.
2 commenti:
Ciao Giorgio,
tutto molto appassionante cio' che scrivi ma permettimi di difendere le Pagine menzionate che trovo ottime e alle quali devo molti dei deliziosi riposini accademici (Si' perche' sfido chiunque voglia smitizzare una lezione di retrosintesi organica con la lenzuolata su Gadda, che pero' adoro, perche' profuma dei buon caffe' milanesi..), te ne sarei grato nel caso intendessi conservare alcuni di questi inserti.
Mi diverte leggerti quando scrivi di libri e roba cosi', e i radiohead fanno cacare almeno quanto la rubrica di Alberoni in prima pagina del lunedi', a proposito c'e' ancora?
No, è stata segata circa un mese fa. Ora Alberoni scrive le stesse banalità su Il Giornale.
Anch'io adoro Gadda: era l'autore principale del corso di lett. it. cont. che ho sostenuto un annetto fa. E' stato probabilmente lo stilista più creativo e capace e versatile ("Disegni, bizze e fulmini" come titolava uno dei testi in programma) della sua generazione.
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