A un certo punto di una vecchia discussione relativa a preferenze e gusti letterari, mi sono inventato -con un sovrappiù di retorica sfrontata: a conti fatti è un'invenzione da poco- una formula che trovo ancora efficace per la descrizione di quella fetta di pubblico attratta dalla frequentazione esclusiva con romanzi di grande successo, libri-del-momento, best-seller fatti a forma di best-seller sin dalla prima copia venduta. E insomma, la sto facendo troppo lunga, la formula è: Sono i libri che legge la gente che non legge libri. Dan Brown, Ken Follett, Stieg Larsson: eccetera.
Il che non significa che io disprezzi quel tipo di consumo o le persone che lo adottano: penso che in alcuni di quei casi ci possano essere elementi di valore e ricchezza narrativa. E non significa nemmeno che tutti quelli che leggono 'sta roba leggono solo 'sta roba: ma un bel pezzo di quelli sì. Non è il mio genere, banalmente: preferisco altra roba perché la ritengo più soddisfacente rispetto alla mia curiosità per le cose del mondo e più stimolante per i solchi della corteccia che ricopre il mio cervello stupidino.
I libri sono oggetti, prodotti di un mercato economico-culturale vasto e stratificato: non c'è niente di male a leggere solo quella roba. Ma proprio niente. Anche perché, a volte, dall'approccio alla lettura con autori di quel tipo scaturisce una più ampia, matura e consapevole passione per la lettura. La quantità di persone che ha scoperto la bellezza della lettura grazie a Stephen King è indubitalmente più alta di quella che lo ha fatto grazie a Tolstoj.
I libri sono oggetti, prodotti di un mercato economico-culturale vasto e stratificato: non c'è niente di male a leggere solo quella roba. Ma proprio niente. Anche perché, a volte, dall'approccio alla lettura con autori di quel tipo scaturisce una più ampia, matura e consapevole passione per la lettura. La quantità di persone che ha scoperto la bellezza della lettura grazie a Stephen King è indubitalmente più alta di quella che lo ha fatto grazie a Tolstoj.
Sul Corriere di oggi, Pietro Citati ha scritto un articolo dai toni inconsolabili sull'involuzione qualitativa del mercato letterario, decorandolo di una quantità di rimpianti per il caro vecchio pubblico di una volta. Pietro Citati è probabilmente uno dei più famosi critici letterari di questo Paese: in quest'articolo, pare una settantacinquenne che dal panettiere lamenta la mancanza di valori nelle giovani generazioni:
Oggi la lettura tende a diventare una specie di orgia, dove ciò che conta è la volgarità dell'immaginazione, la banalità della trama e la mediocrità dello stile. Credo che sia molto meglio non leggere affatto, piuttosto che leggere Dan Brown, Giorgio Faletti e Paulo Coelho. Intanto, continua la scomparsa dei classici. Gli italiani non hanno mai letto Dickens e Balzac. Oggi, anche Kafka (che nel l970-80 era amatissimo) va a raggiungere Tolstoj e Borges nel vasto pozzo del dimenticatoio. Per fortuna, restano i poeti: o, almeno, una grande poetessa, Emily Dickinson.
Ora, a parte la presenza di dogmi cretini tipo "Credo che sia molto meglio non leggere affatto, piuttosto che leggere Dan Brown, Giorgio Faletti e Paulo Coelho". A parte quello.
Dickens e Balzac.
Io me lo figuro come un cleptomane, Citati, che in coda alla cassa cerca di pensare ad altro, di contare a ritroso da 99 a 5 saltando 4 numeri alla volta, di ricordare le vacanze al mare da piccolo, le persone che frequentavano i bagni, le parigine che comprava al bar pur di non cascarci un'altra volta, ma non ce la fa. Non ce la fa a non soddisfare quel bisogno impetuso, urgente e senza tempo di citare due classici dell'Ottocento in un pezzo sul declino di certa sensibilità estetica delle umane lettere contemporanee. Dickens e Balzac. Non Ammaniti, non Tom Wolfe, non Safran Foer. Al repertorio nazionalpopolare di successi commerciali, Pietro Citati contrappone frontalmente, ma in modo schietto e orgogliosamente spontaneo, Dickens e Balzac.
Mi è venuta una voglia di leggere Moccia che non vi dico.
2 commenti:
Chissà cosa diceva la critica, quando Dickens e Balzac pubblicavano i loro scritti.
Ma l'idea che la letteratura, oggi, grazie a Dio, non sia solo più un bene di consumo per una ristretta elit acculturata ma anche ad usufrutto delle masse e che di conseguenza debba essere "tagliata" nel modo giusto non sfiora mai nessuno di questi critici?
Sempre stato critico, verso i critici, io.
Io trovo che la posizione di Citati sia superficiale, miope e probabilmente imbevuta di una nostalgia per la sua gioventù mascherata da nostalgia per il "vecchio pubblico di lettori". E trovo fallimentare -ma al tempo stesso indicativo della situazione stessa- il suo riferimento a classici ottocenteschi nel contesto contemporaneo.
Attenzione, però: l'idea che la lettaratura "tagliata nel modo giusto" e "ad usufrutto delle masse" sia quella di Brown e Follett ha implicazioni altrettanto discutibili. E' un tema molto più complesso della contrapposizione "critici" e "grande pubblico".
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