Paolo Attivissimo è un giornalista conosciuto soprattutto per la sua attività di smontaggio meticoloso e documentato di notizie false, leggende metropolitane e teorie complottiste. Il suo blog è una miniera completissima consultabile per qualsiasi tema riconducibile alle panzane che circolano nel mondo: dal colore strano nel cielo di Oslo alla statuetta tirata in faccia a Berlusconi.
Per questo motivo, sono rimasto sorpreso dalla lettura del suo ultimo post:
Le case farmaceutiche truccano i risultati dei test dei propri farmaci, usando metodi paradossalmente legali per farli sembrare ben più efficaci e necessari di quel che sono in realtà. No, non avete sbagliato blog. Non siete finiti per errore su Luogocomune o qualche altra bettola di complottisti.
Insomma c'è questo libro, Bad Pharma, che raccoglie una quantità di dati completi e verificati su diverse mascalzonate anche criminali compiute da alcune aziende farmaceutiche. E però fermi tutti, dice Attivissimo alla fine del post: i fatti sono fatti e anche in questo caso i cospirazionisti vengono smentiti:
Se vi interessa saperne di più, il CICAP ha pubblicato una serie di articoli su Bad Pharma. Sì, il CICAP, quello accusato di essere al soldo delle case farmaceutiche, va contro le case farmaceutiche. Perché i fatti e il metodo d'indagine scientifico non guardano in faccia nessuno. Sia ben chiaro: tutto questo non vuol dire che la medicina e i farmaci non funzionano e che è meglio tornare agli stregoni o alla pranoterapia o ai sassolini magici. I rimedi alternativi non funzionano per niente (salvo un congruo effetto placebo): le medicine, invece, di solito funzionano. Ma per farle funzionare meglio e non farsi imbrogliare bisogna controllare e sorvegliare chi le fa e chi le vende. Senza eccezioni.
3 commenti:
Vi e' pure di peggio. Secondo me il problema maggiore e' che il cittadino non puo' conoscere le pubblicazioni relative ad una tal molecola. O lavori in universita' o niente. Aggiungo che e' piu' semplice falsare una pubblicazione "sperimentale" piuttosto che una "teorica"
dal momento che non sempre e' possibile ripetere l'esperienza. Considera che a parte certi casi ( Italia, Francia, dove professori lavorano pur non pubblicando, e molti sono entrati purtroppo grazie al '68..) in America vi sono delle scadenze, quindi bene o male devi pubblicare. Ritengo per sommi capi che il sistema di ricerca europeo sia piu' "teorico", flessibile e intelligente, direi "cartesiano" appunto. Quello anglossasone semplicemente piu' efficace e produttivo.
Saluti.
Con quel 'pure di peggio' intendevo dire quanto segue. Nelle pur bene documentate inchieste come 'bad pharm' - almeno lo credo, non l'ho letto ancora - il vizio e' quello di non cogliere il problema nel suo insieme. Un po' come quando si vuole colpire la mafia arrestano i criminali senza curarsi di banche , politica e via dicendo. Accantoniamo tutto quanto attenga alla commercializzazione del farmaco, della quale non mi occupo e che quindi non conosco. Restiamo allo stadio iniziale: l'elaborazione, supponiamo, di un principio attivo o di un eccipiente e relativa pubbliazione.
Ora, consideriamo un gruppo di ricerca competitivo come ve ne sono diversi negli USA : il progetto e' affidato a 5 persone e soltanto uno proseguira', gli altri a casa. Non sorprende come in certi campus, io ho sentito di Berkeley per esempio, possano contare un suicida per laboratorio.
Insomma, senza voler creare del sensazionalismo ma attenendomi a quanto davvero accade, con quel "peggio" volevo dire che talvolta si tratta di mera questione di vita o di morte. E questo purtroppo nessuno lo scrive. Spieghiamoci meglio. Taluni, spesso giovani o dottorandi, impiegano e dedicano anni ad un progetto, talvolta rinunciando a vita sociale e quant'altro. Tra questi vi sono anche coloro animati da sincera passione per la conoscenza e non da semplice ambizione. Alla fine tutto puo' naufragare, magari per pochi Angstrom. Non e' allora tollerabile ma comprensibile come talvolta l'etica perda d'importanza - e con essa dunque, l'efficacita' del prodotto, che sia un farmaco o altro.
Nel primo commento abbordavo la differenza tra Europa e America. Aggiungo che se in Europa hai un risultato con un margine d'incertezza e una scadenza, in genere puoi chiedere piu' tempo per ritornare sul problema e rifletterci. In Usa invece vai avanti.
Integrando nel tempo tutto sembra premiare la 'cultura della produzione'. Attenzione : dico questo in base al mio esperire ma non sono certo di poter generalizzare. Dicevo pure che vi sono professori in un universita' che non pubblicano e che percio' rischiano il posto, piu' in Francia che in Italia. In proposito dico solo che e' stupido e piegato su una sorta di mercimonio culturale ( dal quale guardarsi bene ! vedi Gelmini). Avrai quindi capito da che parte sto.
In ambito scientifico e' noto (qui occorrerebbe una fonte, ma fidatevi) che il numero di pubblicazioni negli ultimi anni e' raddoppiato. Cosi', un professore in Francia del mio gruppo intelligentemente commento' : "beh, non significa che i ricercatori siano diventati doppiamente intelligenti...".
Sarei curioso di comprendere come le cose vanno in ambito umanistico.
Io non mi occupo di farmaci o piu' in generale di biologia applicata, e mi ritengo fortunato, in quanto ho percepito come li' la competizione sia maggiore (sono in piu' a fare il mestiere). Diciamo che piu' che percepito me l'hanno detto chiaramente Selina e colleghi circa un anno fa. Sicuramente Selina potrebbe fornire nell'ambito argomenti piu' rilevanti del sottoscritto.
Ho toccato, forse abborracciato, diversi punti che meriterebbero una discussione piu' approfondita. Qui vorrei salvaguardare l'ipotesi introduttiva: al di la' delle malefatte dell'industria farmaceutica, che, ripeto, richiedono una trattazione a parte, il problema e' assai piu' generale e si colloca gia' a monte.
Boh, David, di quest'ambito non so niente. Parlerei per sentito dire.
Posta un commento