Negli ultimi due mesi e mezzo, ho avuto parecchio da studiare. Per la precisione, due esami di letteratura francese e altri due di letteratura inglese. Programmi abbastanza tosti, niente di cui lamentarsi ma insomma, un bel po' di parole una in fila all'altra.
Parole scritte da persone intelligenti, eh, intelligentissime.
Fra i francesi spicca il tridente Balzac, Flaubert, Zola; e poi Prevost, Malrivaux, Diderot e Rousseau.
Di là dalla manica, ho avuto a che fare con Shakespeare, Swift, i due teneroni Wordsworth&Coleridge, Keats, Byron, Defoe, Dickens e altri.
In mezzo a tutta questa roba, perdonate l'ingenua banalità, ho letto pagine davvero belle. I romantici inglesi, per esempio, spaccano. Consiglierei Percey Shelley, che nemmeno conoscevo.
Madame Bovary, poi, è una gran palla, ma se accompagni la lettura con un testo critico che ne srotola significati e discorsi poetici vari, t'inchini anche alla grandezza della descrizione di un ottocentesco e mediocre medico francese che non è capace di mangiare la minestra e fa quel rumore tremendo con le labbra, quando la assume dal cucchiaio.
Eccetera.
Fra tutte queste parole, però, ne ho trovate alcune che mi sono sembrate più universali, sensate, giuste e incontestabili di tutte le altre.
Parole che sembrano scolpite nel marmo, parole che non ti spieghi in che modo la storia del pensiero abbia potuto mettere in discussione e superare.
Poi, se ti fermi a riflettere, ti dici è giusto così; anzi, dato che quelle parole le hai lette su un manualetto riguardante il pensiero illuminista, metterle in discussione è tutto quel che di coerente puoi fare, rispetto alla loro formulazione.
Parole scritte non da un francese, non da un inglese ma da un prussiano timido, solitario e intelligente.
Parole che io, come avrete intuito, dato che siete lettori svegli, nemmeno mi sogno di mettere in discussione:
"Agisci in modo da trattare l'uomo così in te come negli altri sempre anche come fine, non mai solo come mezzo."