Sono nato nei primi Anni Ottanta, i miei genitori sono dipendenti comunali in pensione, i miei primi ricordi politici risalgono agli anni di Tangentopoli; sono cresciuto dentro scuole, licei e università pubbliche, ho trascorso il mio tempo leggendo libri, guardando film e serie Tv, ascoltando pacchi di musica e uscendo con i miei amichetti nella piccola provincia in cui ci è capitato di nascere; mi piace perdere tempo in rete, mi piace bere la birra, mi piace fare tardi, mi piace imparare cose nuove, mi piace scrivere, mi piace lavorare con i ragazzi, un giorno vorrei diventare insegnante di letteratura inglese.
Sono uno come centomila altri, là fuori: non abbiamo fatto in tempo a essere comunisti o democristiani o chissà che altro e abbiamo trascorso gli ultimi anni sflanellando all'opposizione del Cav, sostenendo più o meno appassionatamente i governi guidati da Romano Prodi e conservando un'opinione complessivamente buona del governo Monti.
Da quando è stato fondato cinque anni fa, le poche volte in cui non ho deciso di astenermi, ho sempre votato il Partito democratico perché penso che sia il partito che meglio rappresenti la mia visione della società. Quanto e come mi rappresenti è secondario, in un sistema democratico: il partito perfetto non esiste, il presidente del consiglio da poster in cameretta non esiste. Affermare se stessi dicendo di no, distinguersi dicendo "a me non piace", alzare la mano per dire "non è abbastanza questo, dovrebbe essere più quello", lamentare che il Pd non è sufficientemente X, Y e Z sono tendenze che ho abbandonato da tempo.
Perché? Perché a differenza di molte persone che lo votano -ma anche di alcune che non lo votano- un giorno ho capito che il Pd non è roba mia. Non faccio parte del Pd: volessi davvero cercare di cambiarlo e di avvicinarlo alle mie posizioni personali, prenderei la tessera, andrei in sezione, farei militanza. Ma siccome non lo faccio, siccome non ho intenzione ora di spendere il mio tempo occupandomi di queste cose, attenzione che arriva un concetto fondamentale della vita adulta, non rompo i coglioni.
Ci sono questi del Pd. Secondo me sono sufficientemente in gamba da essere votati. Li voto. Cinque minuti dopo averli votati, penso ad altro, faccio altro, fossero anche partite di calcetto o chiacchiere al bar. Fine delle menate.
Il 25 novembre io non sarò in Italia, perciò mi asterrò al posto di un mio amico che alle primarie del centro-sinistra voterà per me.
Parentesi: sì, probabilmente il meccanismo che rende necessaria la registrazione è un po' complicato. Lo è quanto pagare una bolletta oggi e una domani, però; lo è meno di rinnovare la patente e a conti fatti lo è meno di andare a fare la spesa il sabato pomeriggio. Avete l'intenzione di esercitare un vostro diritto e di incidere sulle sorti della prossima legislatura? Bene, bravi. Allora fate così. Un giorno andate, vi registrate e dite ciao grazie. Un altro giorno andate, fate un sorriso, mettete una x e dite ciao grazie. I partiti che hanno scritto le regole chiedono un impegno minimo che testimoni l'intenzione radicata di votare la coalizione di sinistra ad aprile, chiunque vinca a novembre. Non è troppo. Ci sta. Quindi -lo so, io sto da un'altra parte, parlo facile, radical chic- date retta: se v'interessa, alzate il culo e andate a votare. Non diventerete meno belli o meno colti, non vi cascheranno le orecchie e non corromperete i vostri principi. Potete registrarvi una domenica e andare a votare quella successiva. O addirittura
fare entrambe le cose lo stesso giorno. E la domenica, non preoccupatevi che lo so, non avete un cazzo da fare.
E poi pensateci bene: di là Berlusconi non c'è più e il Pdl si sta frantumando, la Lega perderà un po' di voti, il centro è ancora un po' confuso e Di Pietro è in crisi dura. Restano Grillo e la sua legione di accoliti, che si porteranno via un bel po' di voti. Insomma, intendo dire che le condizioni sono abbastanza favorevoli. Battiamo il ferro finché è caldo, rosso di sera bel tempo si spera, facciamo trenta e trentuno, mandiamo giù qualche compromesso e qualche alleato che non ci piace: Vendola e/o Casini, nel mio caso. Se facciamo tutto questo e poi va male, vi autorizzo a chiamarmi al telefono personalmente e mandarmi affanculo. Chiusa parentesi.
Pur con diverse diffidenze e perplessità, pur conservando una buona opinione di Bersani, Fassino, Bindi e D'Alema -che per inciso vedrei benissimo al Quirinale, ma non ci andrà mai- voterò Matteo Renzi. Su una cosa, a mio avviso, il sindaco di Firenze -che su diverse cose mi piace poco- ha evidentemente ragione: la classe dirigente della scorsa generazione ha fallito e di conseguenza va sostituita. Se stiamo come stiamo, e non stiamo bene, è anche -anche- perché l'attuale dirigenza del Pd, nonostante sia composta da gente in gamba e preparata eccetera, non ha portato a casa risultati adeguati e soddisfacenti. Bravi ma non abbastanza, per essere sintetici.
Certo, l'Italia è un Paese storicamente di destra, Berlusconi è stato un'anomalia ingombrantissima, negli Anni Novanta la sinistra europea ha dovuto ricostruirsi un ruolo e un'identità nel mondo post-sovietico, eccetera. Rimane secondo me condivisibile la valutazione di Renzi, che del resto si adegua alle tendenze diffuse anche all'estero. La politica non è un percorso di carriera trentennale, uno ci prova e se non ci riesce poi fa altro. Ricordate Al Gore, per esempio?
Desidero un Paese più moderno e più equo, un Paese in cui non si nutra rancore coi ricchi solo perché sono ricchi, un Paese in cui si assuma di più ma si licenzi anche di più, in cui il mercato del lavoro non sia devastato dal dualismo contrattuale che separa chi è iperprotetto da chi non lo è per niente, un Paese la cui burocrazia non complichi la vita di chi vuole fare impresa, con un'amministrazione pubblica più leggera e più efficiente, con un carico di pressione fiscale più leggero per cittadini e aziende e con una legislazione tributaria che preveda il carcere per gli evasori; desidero un Paese in cui tutte le corporazioni professionali (dai farmacisti ai notai, dagli insegnanti ai tassisti) rinuncino al particolarismo dei loro orticelli e imparino -altro concetto fondamentale della vita adulta- a mettersi in tasca sacrifici e compromessi in ragione del più ampio e apprezzabile bene comune della vita collettiva; desidero un Paese caratterizzato da una cultura scientifica più avanzata, da una classe politica indipendente dalle istanze dogmatiche espresse dal Vaticano e da un Parlamento capace di legiferare senza entrare a gamba tesa sui temi relativi al corpo degli individui, un Paese in cui le carceri recuperino la funzione rieducativa della pena e in cui l'opinione pubblica sia disgustata dal giustizialismo, dalla forca e dai processi a mezzo stampa. Desidero un'Italia in cui non mi venga da ridere o da sentirmi ridicolo mentre ascolto e canto l'inno nazionale: un Paese un po' più anglo-sassone, un po' più rigidamente severo con se stesso, meno individualista, meno svogliatamente insoddisfatto. Desidero cose piuttosto normali, se non banali.
E attenzione, sarei molto felice se in caso di vittoria Renzi affidasse a Bersani la guida di un ministero importante. Bersani è bravo, fa sforzi apprezzabili di comunicare (velo pietoso sulla cosa da ubriachi in homepage oggi) con me e quelli della mia generazione. Renzi no. Non ne ha bisogno perché comunica naturalmente con gli strumenti più frequentati e riconosciuti da noaltri giovinastri, senza sforzi. È uno di noi, in qualche modo, ma al tempo stesso è uno competente e ambizioso che si dà da fare. Ha sfidato il candidato a sindaco di Firenze del Pd, nel 2009, lo ha battuto e oggi amministra con efficacia una città importante.
E infine voto Renzi perché mi sembra il politico più credibile per cominciare quel lavoro faticoso e necessario di lotta politica contro la sinistra più conservatrice di questo Paese. La sinistra di Vendola e quella dei centri sociali, certo, ma anche la sinistra che sta dentro un bel pezzo del Pd. Su quest'orizzonte a mio avviso fondamentale, delego le argomentazioni a due persone intelligentissime.
La prima è Massimo d'Alema in un mirabile
discorso di molti -troppi- anni fa, in cui individua -erano gli anni dei governi Blair, in fin dei conti- un equivoco anche rovinoso interno alla sinistra fra mezzi e fini, ragioni e strumenti. E individuandolo, si riferisce esattamente alla sinistra conservatrice. Mi chiedo cos'abbia fatto, di queste riflessioni, nel frattempo. Però sono ancora validissime, anzi lo sono oggi più di allora:
La sinistra ha un problema anche suo, cioè come affermare le ragioni costitutive della sinistra nel momento in cui entrano in crisi i parametri dentro i quali la sinistra ha organizzato la sua funzione storica: lo Stato nazionale, un certo modo di essere del lavoro, etc. Io credo che ci sia una sinistra che è talmente innamorata degli strumenti con i quali ha agito, che finisce per perdere le sue ragioni costitutive. Nella discussione sul Welfare mi permetto di dire che certe posizioni che appaiono più di sinistra, negano in radice le ragioni della sinistra. Dov’è la ragione della sinistra in chi dice che non è giusto che la stessa figura sociale, il disoccupato, possa avere la cassa integrazione, il prepensionamento se è stato difeso dai sindacati, o la pensione di invalidità se trova un uomo politico che lo aiuta, o niente? Questa è la realtà dell’Italia. Ma chi difende questo tipo di situazione è di sinistra? No, difende conquiste della sinistra, e indubbiamente la cassa integrazione è una conquista della sinistra, ma non difende le ragioni della sinistra, cioè l’eguaglianza. E finisce per produrre una frattura fra le generazioni che diventa insanabile, se non vi poniamo rimedio. Allora io credo che la sinistra debba ritrovare le sue ragioni costitutive, anche mettendo in discussione gli strumenti attraverso i quali ha costruito anche la sua forza, il suo insediamento sociale avendo un po’ di fiducia nella trasformazione. Noi dobbiamo scommettere sul progresso.
La seconda è Alessandro Baricco, l'anno scorso, in una delle iniziative messa in piedi proprio da Renzi.
Se c’è qualcuno capace di mettere in piedi ‘sta roba, adesso, mi sa che è Matteo Renzi più di Pier Luigi Bersani. E magari mi sbaglio.
Poi vediamo come va. E se va che vince Bersani, sosterrò Bersani. Sapete come?
Mettendomi in tasca la sconfitta e senza rompere i coglioni.