Qualche anno fa, stavo guardando una puntata del Grande fratello (radical chic!) quando a un certo punto una concorrente -vai a ricordarti il nome- ha fatto una cosa che mi ha lasciato secco davanti al video. Era durante l'intervista di rito fatta in seguito all'eliminazione. Ora non ricordo esattamente lo scambio, ma la ricostruzione è fedele:
Conduttrice: - Sai, diversi tuoi coinquilini si sono spesso lamentati del tuo carattere. Dicono che a volte sei troppo arrogante, che bisogna fare sempre come dici tu... non sei un po' troppo autoritaria?Concorrente, con un piglio orgolioso: - Certo Alessia, io sono come sono. Non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno.Conduttrice: - Sì, però quando si convive con altre persone...Concorrente, ancora orgogliosa: - No, Alessia: io sono coerente con me stessa, non sono ipocrita. Se penso una cosa te la dico in faccia. Senza problemi.
Ci si potrebbero scrivere intere tesi di laurea, su una discussione come questa. Mi limito a evidenziare due concetti generali: il primo sancisce che "Essere come si è" sia un diritto fondamentale e una cosa universalmente buona; il secondo, e complementare, è il malinteso logico secondo cui ogni tentativo di temperamento dei propri difetti (e quindi ogni intenzione di miglioramento di se stessi) sia una manifestazione d'ipocrisia.
E uno.
C'è una vecchia vignetta di Altan che contiene un pensiero secondo me essenziale a proposito dei criteri in base ai quali prendiamo posizioni e assumiamo punti di vista sulle cose:
C'è dentro tutto: c'è dentro sia l'inclinazione ad avere pensieri superficiali, violenti, malevoli e ignoranti sia la benvenuta disposizione alla conoscenza, all'equilibrio, all'approfondimento, alla soluzione razionale. La prima è una cosa di pancia, la seconda è una cosa di testa. Se non si tratta di bere o di mangiare, è meglio lasciar perdere gli stimoli che recepiamo dalla pancia, o almeno è meglio imparare a riconoscerli e a metterli in discussione spregiudicatamente, come se non fossero nostri. E spesso ci si accorge che non lo sono (nostri), o meglio che la loro origine si attesta in sentimenti o -quel che è peggio- comportamenti sciocchi nella migliore delle ipotesi, e violenti nella peggiore. Ci si accorge che sono delle cretinate con cui non vogliamo avere niente a che fare, anche se ne siamo titolari.
Sto schematizzando molto, certo. Però, per tradurre in termini pratici, cos'è il razzismo se non una quantità di pensieri superficiali e comportamenti violenti la cui espressione è estranea alla dignità della conoscenza e dell'approfondimento? Cosa si può pensare delle proteste urlate da chi pretende che un cittadino indagato dalla magistratura vada "In galera! E buttare via le chiavi!"?
E così via.
Sarebbe disonesto negare l'esistenza dell'impulsività di questo tipo di sentimenti e pensieri, e Altan non lo fa: aggiunge anzi alla constatazione un elemento di contrasto, cioè la non condivisione di quei medesimi sentimenti e pensieri.
E due.
C'è poi un aforisma di Marshall McLuhan che ruota attorno a questo stesso tema. Non prende in esame il momento della concezione, ma quello dell'espressione, e prima va a contestare la concorrente del Grande Fratello, poi va fare il paio con la vignetta di Altan, infine viene a bagnare i miei fiori:
I don't necessarily agree with everything I say.
La cosa più strepitosa dell'affermazione è senza dubbio l'avverbio necessarily. Ma comunque, ce l'avevo in mente da un po', questo post. Ha molto a che fare con chiacchierate e discussioni che ho avuto con qualche amichetto, là fuori, e naturalmente anche con molti materiali artistici che ruotano attorno al tema. Da Barry Lyndon al Giovane Holden. L'ho scritto oggi non tanto per manifestarle, ma perché sono appena cascato dentro le convinzioni stupide rivendicate dalla concorrente del Grande Fratello. Dopo aver letto del risarcimento di 50.000 euro che Beppe Grillo dovrà versare alla Fininvest, in ragione del mio disprezzo per quasi tutto quello che riguarda l'ex comico, ho detto: "Che bello." E subito dopo: "Ma perché? Che cretinata che ho detto."
E' una cosa di cui non so niente, magari ha ragione lui, magari no, ma in entrambi i casi è una causa di diritto civile fra un cittadino e un'azienda. E quindi non mi riguarda. E io non sono (non voglio essere) uno che borbotta cose di rancore, o che trae piacere da notizie che per il prossimo sono disavventure o potenziali ingiustizie. Già la mia testa fa fatica a capire le cose, figuriamoci la mia pancia.
E tre.
Certo, è una cosa piccola, irrilevante. La verità è che ho scritto questo lungo post anche perché prevedo sarà l'ultimo, per un po'. Torno a studiare, probabilmente come un forsennato, e tempo a disposizione ne avrò sempre meno: se tutto va bene. Se invece torno a fare i piripiri a punta e a montare a neve le virgole, significa che qualcosa è andato storto.