martedì 18 marzo 2008

Into the wild (#1)

Lo vedono gli amici, ne scrivono gli amici, lo spoilerano gli amici che se lo scoprisse Sean Penn sarebbero richieste danni alla stragrande.
Sai come va a finire ma vai a vederlo comunque, che i biglietti sono gratis e il cinema attaccato al panettiere che sforna i più buoni panzerotti del mondo conosciuto.
All'inizio ti dà un po' fastidio. Proprio lui, il protagonista ti dà fastidio per come è stato scritto e per il canale fiabettone e ipercorretto su cui è costruita la sua psicologia. E' un po' McGyver e un po' Lord Byron. Aspetti solo che salvi la vita a un castoro indifeso e gli reciti una poesia di Wordsworth.
Poi lo vedi incontrare gli hippies americani e inizi a temere il peggio. Meno male che di fronte a te lo schermo ribolle di Stati Uniti selvaggi e incontaminati a piovere, e che il cantastorie ufficioso della situazione è Eddie Vedder. La forma è salva.
Insomma, non è che ti convinca proprio tanto sto film. Poi arriva il finale, e prendi le misure. Basta un quarto d'ora e sei in piena immedesimazione col protagonista: capisci insieme a lui.
Prima vedi un anziano signore versare una lacrima sulla sua guancia rugosa, e ti vien voglia di entrare nello schermo per fargli una carezza, che i vecchi che piangono sono come i pischelli.
Poi lui sbaglia pagina del libro e la scampagnata fitta di luoghi comuni si trasforma da adesione conformista al mito on the road contro la società (La società! La società!) a splendido e sostanzioso percorso formativo che svela solo alla fine la sua lezione più importante, quella che supera e distrugge ogni convinzione di cui si è lastricato il protagonista.
Buono, Into the wild.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Già sai come la penso, comunque... ribadisco che a me è piaciuto.
(vedi che sapere il finale non rovinava il finale?)

Anonimo ha detto...

Non hai tutti i torti, è troppo giusto lui...non si butta nemmeno su quella sedicenne arrapata come molti di noi avrebbero fatto.