lunedì 20 giugno 2011

E niente e nessuno al mondo, eccetera

E poi, durante un notturno riascolto compulsivo e imprevisto di vecchie canzoni di Jovanotti, ti accorgi per la prima volta dell'intelligenza e dell'efficacia del verso di una canzone che avrai ascoltato un centinaio di volte:
Io penso positivo, ma non vuol dire che non ci vedo.

mercoledì 15 giugno 2011

Meanwhile, in another part of the world

Scrivo cose anche su un altro blog, nel frattempo. Cronache dei consigli comunali del gruppo civico di cui faccio parte, perlopiù.
L'ultima l'ho fatta ieri sera, potete leggerla qui.

Sono pure troppe, sei parole

In un'intervista di qualche anno fa, Stephen King venne coinvolto in una sfida relativa alla sua abitudine di scrivere romanzi molto lunghi: raccontare una storia di paura usando pochissime parole. Se ne uscì con questa formidabile invenzione, a bruciapelo:
L’ultimo uomo rimasto sulla Terra è chiuso nella sua stanza. Bussano.
Ieri, al Post, hanno messo online le immagini relative a un sito che si chiama Six word story every day, in cui si raccolgono -sulla scia di un celebre, inconsolabile e strepitoso raccontino di Hemingway: Vendesi: scarpe per neonato, mai indossate- autobiografie illustrate composte solo da sei parole.
Sei parole in cui condensare, in una parola, tutto. Esperienze, punti di vista, poetiche e filosofie; ma pure minchiatelle, giochi di parole e stratagemmi narrativi di ogni tipo.
Ce ne sono di molto belle.
Generalmente si avvantaggiano, da un lato, della forza di quel minimalismo letterario che permette di esprimere suggestioni e significati in una manciata di sillabe, e da un altro, di quell'approccio un po' paraculo che attribuisce grandezze artistiche a espressioni stringate e di facilissima formulazione.
E' una dimensione in cui telegrafia ed ermetismo si mescolano molto, in una misura che confonde capacità di sintesi e spremute di compiacimento.
Il genere si chiama Flash Fiction.
Io ho provato a pensare alla mia autobiografia in sei lettere: ne è uscito il titolo di questo post. Per le vostre, c'è lo spazio dei commenti.

venerdì 10 giugno 2011

Magari mi convincono pure

Fa molto bene Matteo Renzi a ricordare ai dirigenti del Pd che il secondo quesito referendario è relativo a una norma introdotta dal governo Prodi nel 2006, ministro Di Pietro. E in politica si cambia pure idea, non c'è niente di male. Però sarebbe utile sapere in ragione di cosa hanno cambiato idea: hai visto mai che abbiano ragione.

giovedì 9 giugno 2011

Well! Here comes ol' Charlie Brown

Gli impallinati dei Peanuts lo sapranno già, perché sono impallinati dei Peanuts. Se non lo sanno, glielo dico io: qui c'è un account Twitter che ogni giorno pubblica delle cose relative a quel mondo pazzeschissimo di bambini e animali.

Che la guerra è bella, anche se fa male

Al Post, hanno messo online alcune foto di esercitazioni dell'esercito sud-coreano. Sono bellissime.

lunedì 6 giugno 2011

We don't need no water, let the motherfucker burn

Oh, avvisati: questo post è molto lungo. E probabilmente fuori c'è il sole.

A proposito dei 4 quesiti che ci saranno posti al referendum di domenica e lunedì, ho solo una solida convinzione: voterò sì per abrogare la legge sul legittimo impedimento. Non sono un antiberlusconiano incallito, anzi spesso discuto molto coi miei amichetti di quale sia la strategia migliore per combattere, diciamo così, l'avversario comune. Di solito non se ne esce.
Ma comunque, qui il punto della faccenda mi sembra chiaro e semplice: quella legge è stata progettata, scritta e approvata per risolvere qualche impiccio giudiziario del leader della coalizione che l'ha progettata, scritta e approvata. E porcoilcazzo va bene essere moderati. Ma scemi no. Non così tanto. Quindi voto sì.

Poi c'è la cosa sul nucleare, ormai invalidata dall'abbandono del progetto da parte del governo. Non so. Non sono contrario al nucleare, in linea di principio. Non sono contrario quasi a niente, in linea di principio. Però, boh, forse quel treno per l'Italia è già passato. Credo che voterò sì, quindi, ma certo non in ragione della paura di un disastro tipo quello giapponese. Non che non abbia paura del disastro, naturalmente: penso però che la paura declinata in questi termini, quando si fanno delle scelte politiche, sia un argomento insufficiente e non contribuisca quasi mai a migliorare le cose.

E poi ci sono i due quesiti sull'acqua.
La prendo un po' alla larga. Vediamo cosa ne esce.
Io sono uno "di sinistra". Lasciamo stare cosa significhi l'espressione, e la quantità di sfumature e cioèminchia a cui si può prestare. Dico che sono uno "di sinistra" perché sui due quesiti sull'acqua tutti i partiti di sinistra hanno indicato di votare sì. Tutti: dal Pd ai "comunisti", e ballotta al seguito. E io mica ho capito il perché. Soprattutto per quanto riguarda il Pd. Allora ieri sera mi ci sono messo un po': ho letto delle cose online, ho spaccato un po' le palle su Facebook e -per quanto pure questo sia un tema tecnico di cui il cittadino medio può afferrare solo gli elementi più superficiali- credo di averci capito qualcosina.

La prima cosa che credo di aver capito è che buona parte della campagna per il sì è piuttosto paracula. Tutti gli slogan fanno leva sul rischio dell'acqua privatizzata, sull'emergenza relativa alla perdita del pubblico dell'acqua. Il problema non è tanto che è una stronzata, perché la legge in discussione naturalmente non privatizza l'acqua: il problema è che lo sanno pure i sostenitori del sì, che la legge non privatizza l'acqua. Ne privatizza, o liberalizza (ma qui siamo a sfumature che non saprei come spiegare: ho studiato lingue e mi laureo sui vampiri, venitemi incontro) la gestione del servizio distributivo. Però vuoi mettere come funziona la formula "I privati vogliono l'acqua"?
Non è un elemento determinante, però se cercando di convincermi fai lo sgambetto propagandistico retorico, ecco, inizi a starmi addosso.
Poi: io non prendo molte medicine. Anzi, non ne prendo mai. E per "mai" intendo dire che negli ultimi 3 anni l'unica roba che ho preso è stato un integratore di ferro. E poi ho smesso perché mi provocava attacchi violentissimi e frequentissimi di caccamolla. Stavo male. Ma male davvero. Io sono fortunato e non prendo medicine, dicevo, ma voi sì. Lo so che le prendete. Vi vedo. E le medicine che prendete sono prodotte da aziende. Aziende costituite in base a un capitale messo a disposizione da privati. Aziende che mentre vi fanno passare l'acidità di stomaco o vi tengono aperta l'aorta, già che ci sono, fanno business e guadagnano soldi. Naturalmente, esistono quintalate di regole, esiste un ministero della sanità, esistono protocolli alti come grattacieli. Le aziende non fanno quel cazzo che pare loro, ma intrattengono un rapporto costante con il politico, inteso nel senso di pubblico. L'esempio non è definitivo (quasi nessun esempio lo è) ma mi serve per arrivare al punto: perché sui farmaci accettiamo il contributo dei privati e sulla distribuzione dell'acqua mettiamo in piedi una battaglia di questo tipo? Da una parte ci sono soldi e salute, dall'altra -in estrema sintesi- solo soldi (a meno che non si sospetti un avvelenamento dell'acqua da parte dei "privati").

Più nello specifico, qui c'è un altro esempio (molto più circostanziato del mio) che tira le fila della cosa:
L’eventuale coinvolgimento del privato è una scelta che si può descrivere così: il “condominio cittadino” ha bisogno di un idraulico per far funzionare il sistema di servizio, e deve decidere se assumerne direttamente uno alle sue dipendenze (affidamento “in house”) oppure affidare il compito a un professionista esterno. La legge non richiede che il professionista esterno sia un privato, ma richiede che la scelta venga effettuata tramite una gara pubblica. L’idraulico, chiunque esso sia (azienda pubblica o azienda privata), non è e non sarà mai il “padrone dell’acqua”: l’acqua appartiene ai cittadini, le infrastrutture appartengono ai cittadini, le modalità di accesso alle infrastrutture per approvvigionarsi del bene essenziale sono decise dal soggetto pubblico, le tariffe sono approvate dal soggetto pubblico. L’idraulico ha solo il compito di recapitarci l’acqua a casa, con le caratteristiche qualitative richieste affinché la possiamo usare e poi riprenderla per restituirla all’ambiente. Però, l’idraulico costa: il vincolo per il comune, qualunque modello scelga, è che le tariffe pagate dai cittadini coprano questi costi.
In più, il decreto in discussione stabilisce che le aziende pubbliche devono dimostrare di avere il bilancio in attivo, di avere tariffe inferiori alla media del settore e di reinvestire nel servizio almeno l'80% di quello che raccolgono. Se fanno questo, e mi sembra che siano parametri normali in un'economia di mercato, nessun privato arriva a portar via niente: è sufficiente dimostrare di essere virtuosi e non indebitati. In che condizioni sono le società municipalizzate che gestiscono il servizio ora? Quasi tutte non virtuose e indebitate. E arrugginite da logiche clientelari che attribuiscono destinazioni da ufficio di collocamento.

Sapete quanto costa l'acqua potabile, in Italia? Costa poco meno di 1€ al metro cubo. Un metro cubo, ci diceva il prof delle medie, equivale a mille litri. Poco meno di 1€ per mille litri. E' poco, per un bene prezioso. E' pochissimo. Forse è troppo poco. Se costasse di più, forse ne sprecheremmo di meno: "Chiudi la finestra che vanno i riscaldamenti", "Spegni la luce". Al di là dello spreco individuale, che è una fetta piccolissima degli sprechi idrici, il vero problema riguarda gli sprechi di rete: qui c'è una ricerca di qualche anno fa, eseguito su 39 aziende pubbliche del settore. Risultato:
Hanno perso (“non fatturato”) nel 2006 circa 870 milioni di mc. d’acqua, pari ad oltre 400 milioni di euro.Cosa significano queste cifre? Con l’acqua perduta sopra citata si sarebbero potuti distribuire 250 litri di acqua al giorno a 9,5 milioni di persone.
In generale, in Italia gli sprechi idrici sono esorbitanti. Questa inchiesta di due anni fa dice che ogni anno, si buttano via 2,6 miliardi di metri cubi d'acqua. C'è bisogno di investimenti. Di parecchi investimenti che migliorino le strutture. E qui arriviamo al perché è troppo frettoloso e miope impedire a società private (o miste) di entrare nel servizio di distribuzione. Per la questione del settepercento.
Ma allora cos’è questo 7%?
È la remunerazione garantita per gli investimenti, anche pubblici.

In che senso anche pubblici?
Se bisogna rifare l’acquedotto, servono soldi, che il Comune può prendere in due modi: o a prestito o con le imposte. Il primo caso implica il pagamento di interessi a qualcuno, sia esso la Cassa Depositi e Prestiti o alle banche o chissà chi: dato che l’investimento è fatto per noi, siamo noi a doverlo pagare, com’è giusto che sia. Per pagare gli interessi sul capitale preso a prestito, il gestore (ovvero il Comune) può modulare la tariffa fino a prevedere il 7% di remunerazione del capitale. Eliminando il 7%, il Comune (che sarà comunque con buona probabilità nella società di gestione dell’acqua) non potrà più prendere a prestito il denaro per fare gli investimenti, e non gli resterà altro da fare che ricorrere alla fiscalità (le tasse), con il rischio che i soldi prelevati direttamente dalle tasche dei cittadini vengano distratti per altri progetti (o per altri sprechi), senza contare che c’è gente che le tasse non le paga affatto e avrà l’acqua senza contribuire agli investimenti.

E per quanto riguarda i privati? Se il profitto è garantito dov’è il rischio d’impresa? Perché dargli il 7%?
Il discorso diventa complesso, cerco di semplificarlo con un esempio. Un privato ha 100 milioni da investire. Ha davanti a sé tre progetti, simili in quanto a lasso temporale e capitale da investire (vi prego di venire sul sito e leggere la nota1 ). Il primo progetto è quello dell’acqua: guadagno di 7 milioni con probabilità 100%; il progetto 2 prevede un guadagno di 9 milioni con probabilità 80% e una perdita di 1 milione con probabilità 10%; il terzo prevede un guadagno di 10 milioni al 50% e nessun guadagno al 50%. I guadagni attesi sono, rispettivamente, 7, 7 e 5 milioni, per cui il terzo progetto è escluso. Voi, fra un guadagno sicuro di 7 e un guadagno atteso di 7 che cosa scegliereste?

Sceglierei il primo, ma cosa c’entra?
C’entra, perché se il privato decide di investire nell’acqua potremo avere un migliore servizio idrico.

Vabbé, questo non può farlo il pubblico?
Certo, ma ci sono due problemi: uno, il pubblico non l’ha fatto per decenni; due, il pubblico non ha soldi e dovrebbe aumentare le tasse. In ogni caso a pagare gli investimenti saremo noi, con una differenza: il privato quegli investimenti li deve fare se vuole avere il 7%, il pubblico, invece, no, anzi, potrebbe decidere di non farli per non aumentare le tasse.
Le bollette dell'acqua che riceviamo non coprono la totalità del costo del servizio in sè. Sull'acqua c'è una larga parte di costo "oscuro" che ricade sulla fiscalità generica ma che in realtà serve a coprire gli enormi buchi della gestione idrica. Cioè paghiamo l'acqua anche quando paghiamo il gas, quando stendiamo il modulo unico, quando facciamo benzina. E chi non paga le tasse? Paghiamo l'acqua pure a lui.
...
Ci sarebbe da andare avanti, ma le cose definitive che imparato sono queste qui. Esiste naturalmente un rischio relativo all'ingresso dei privati nella gestione delle risorse idriche. E cioè che abbiano lo scopo di guadagnarci come quando vendono fette biscottate. E l'acqua è un tipo di bene diverso.
Ma si tratta di un rischio che si può prevenire e risolvere con quelle cose difficili da rispettare che si chiamano regole. E con multe che responsabilizzino chi non rispetta quelle regole.
...
Data la lunghezza del post, se siete arrivati fino a qui significa che siete psicopatici: comunque credo che voterò no ai due quesiti sull'acqua.

Ps: Francesco Costa ha scritto un post in cui dichiara le sue scelte rispetto al referendum. Due sono uguali alle mie, due no. Ma introducendo il tutto ha scritto una cosa che condivido molto:
Per votare bene bisogna avere quelle conoscenze o bisogna avere voglia di farsele, con umiltà e disponibilità a cambiare idea. Davanti all’oggettiva complessità delle questioni e alle balle che circolano – sappiate, per dire le più grosse, che non si vota né sulla privatizzazione dell’acqua né sull’introduzione dell’energia nucleare – la cosa che mi ha più sconfortato è stato vedere come in questa occasione la sinistra ha surclassato la destra in quanto a bugie, slogan ingannevoli e propaganda senza scrupoli. Surclassato, proprio senza paragone. La stessa cosa è accaduta col nucleare, dove con l’incidente di Fukushima – e anche dopo – abbiamo assistito al triste attecchimento a sinistra della propaganda sulla paura. E a me non piace quando la sinistra per battere Berlusconi usa gli strumenti di Berlusconi.

domenica 5 giugno 2011

I'd like to see you

Ieri pomeriggio, ho felicemente tagliato l'erba in giardino. Ci ho messo un po', perché si tratta di un giardino largamente trascurato negli ultimi anni, molto grande, e altrettanto infestato da una forma di vita vegetale a cui si rivolge tutto il più profondo, biliare e possibile disprezzo di noialtri inquilini della casa.
Mentre tagliavo l'erba, ho ascoltato un bel po' di musica con il cosino shuffle della Apple. Come mi accade spesso, a un certo punto ho interrotto l'ascolto casuale e mi sono inchiodato nell'ascolto ripetuto di un singolo brano: I'm a Cuckoo dei Belle & Sebastian.
E' uno dei pezzi più famosi e riusciti del gruppo; in effetti è una di quelle piccole canzoni perfette, cantata un po' alla Morrissey, con un andamento leggero e trascinante, un efficacissimo contributo di qualche fiato qua e là e una citazione di un gruppo duro-e-puro come i Thin Lizzy.
Dopo averla molto ascoltata anche stamattina, sono andato a leggere il testo perché non me lo ricordavo granché bene. E siccome è domenica pomeriggio e piove, la sto ascoltando anche ora mentre spippolo al computer.
I'm a Cuckoo parla di un amore che non c'è più, e ruota attorno a una serie di pensieri, ricordi, desideri e sbandi emotivi del protagonista. La cosa interessante è che nonostante a un certo punto le strofe recitino
And I loved you
You know I loved you
It's all over now
Non ci si crede nemmeno per un istante, che lui non la ami più. Se non altro perché nel passaggio successivo, oltre a rivendicare una serie di cose fatte per lei
And I was there for you
When you were lonely
I was there when you were bad
I was there when you were sad
e a ricorrere a formule simili a "Ora devo pensare a me stesso"
Now it's my time of need
Si fa scappare, sul più bello, la domanda che fa crollare il castello
I'm thinking, do I have to plead to get you by my side?
Sì. Non la ami più. Come no.
Da questo punto di vista, I'm a Cuckoo mi ha ricordato quella che probabilmente è la canzone più triste della storia della musica leggera italiana, cioè Era già tutto previsto di Riccardo Cocciante.
Perché lui ci prova anche, a fare la parte del fatalista che già sapeva sarebbe andata a finire così. Pur mettendo in piazza dolori e frustrazioni senza ritegno, Cocciante prende un po' quella strada lì, quella dell'uomo maturo ormai esperto di delusioni sentimentali e corazzato di disincanti emotivi. Quindi figurati se l'ultima delle scottature lo può bruciare più di tanto. Figurati. Però poi la confessione scappa anche a lui, sul più bello e in completa antitesi con quanto affermato dal titolo, e alla faccia di esperienze e disincanti.
E siccome è Cocciante, e non una banda di scozzesi indie e raffinati, altro che paragonarsi a un cuculo, tsé:
Non ho saputo prevedere
solo che però adesso io vorrei morire.

venerdì 3 giugno 2011

Un giovedì sera in bicicletta, a Milano

Purtroppo il video non è un granché perché devo ancora scoprire come farli a schermo intero tramite iPhone, però rende l'idea di un nemmeno tanto casinista momento della critical mass milanese.
Il tizio con lo stereo incorporato alla bicicletta è naturalmente il capo dei capi del mondo.


mercoledì 1 giugno 2011

Ragione da vendere

In generale, non vado matto per le asserzioni laconiche e liquidatorie. Ma questa di Pisapia è davvero formidabile, punto e a capo:
Grillo talvolta parla senza conoscere la realtà.