venerdì 30 novembre 2012

“If you wish to make an apple pie from scratch, you must first invent the universe”

Chi ha figli e/o lavora coi bambini conosce bene la loro abitudine, ormai anche stereotipata in fondo, di fare domande molto semplici da un lato ma molto impegnative dall'altro. Perché il cielo è blu? Dove si trovano i sentimenti? Quand'è cominciato il tempo? 
In America è uscito un libro che raccoglie molti di questi interrogativi e delega la risposta a studiosi ed esperti dei vari settori di riferimento.

giovedì 29 novembre 2012

In effetti

In practice, what is an atheist? An atheist is just somebody who feels about Yahweh the way any decent Christian feels about Thor, or Baal, or the golden calf. As has been said before, we are all atheists about most of the gods that humanity has ever believed in. Some of us just go one God further.

Me lo segno qui

Che ora vado a dormire e altrimenti domani mi dimentico.

mercoledì 28 novembre 2012

Il mondo è brutto perché è vario

Ho trovato su Twitter il link a quest'articolo. La storia è terrificante:
Nurbanu had divorced her unfaithful and violent spouse after catching him with another woman. Eight days later, she was cooking at home in Bangladesh when he pulled up on a motorbike and doused her with acid, leaving her blind and disfigured. The 36-year-old now has to endure living with her former spouse again after his mother forced her to sign an affidavit to have him released from prison following the attack.
Oltre a essere terrificante, è stata per me rivelatrice di quanto sia diffusa in Bangladesh la pratica di gettare acido in faccia alle donne -mogli o fidanzate, spesso- come gesto autoritario di punizione. 

-"Look, I don't want to step on your toes. You don't want to step on mine. We're both writers." - "Yes, I suppose, if we broaden the definition to those who can spell"

Un giorno, una persona molto istruita e aggiornata di cose sia americane che di questo sistema solare scriverà un libro intitolato "Tutto quello che succede è già successo in The West Wing". Una delle mie serie Tv preferite, se non la mia serie Tv preferita di sempre. Nella nona puntata della seconda stagione, si racconta di Galileo 5, una missione organizzata dalla Nasa per atterrare su Marte. E c'è il presidente Bartlet tutto eccitato dalla spedizione, dai suoi obiettivi e dai desideri che la sostengono; c'è C.J. che cerca di assecondare ma non è davvero coinvolta e c'è Sam che è il più ganzo di tutti:

BARTLET: First time I heard 'Galileo V,' the way the imagination immediately... It reminded me of the way folks in my generation felt when we heard "Yellow Submarine."
C.J: Okay.
BARTLET: We really did all want to live in a yellow submarine.
C.J: I can't believe they gave you people drivers' licenses.
La penultima puntata della quarta stagione, invece, s'intitola Life on Mars, malgrado l'ipotesi di verifica dell'esistenza di processi biologici sul pianeta fosse solo un espediente per raccontare di un'altra cosa (che a sua volta è tra l'altro avvenuta nel mondo vero ma poi di va per le lunghe).
Non so cosa stia succedendo, nel nostro sistema solare, rispettivamente alla missione su Marte. Però si vocifera che la scoperta sia molto importante. Io un po' ci spero:
We came out of the cave, and we looked over the hill, and we saw fire. And we crossed the ocean, and we pioneered the West, and we took to the sky. The history of man is hung on the timeline of exploration, and this is what's next.

venerdì 23 novembre 2012

Cui prodest? A volte anche solo allo scambio di idee

I think Hannah Arendt said that one of the great achievements of Stalinism was to replace all discussion involving arguments and evidence with the question of motive. If someone were to say, for example, that there are many people in the Soviet Union who don't have enough to eat, it might make sense for them to respond, "It's not our fault, it was the weather, a bad harvest or something." Instead it's always, "Why is this person saying this, and why are they saying it in such and such a magazine? It must be that this is part of a plan."

mercoledì 21 novembre 2012

Mi piace sempre un sacco, quando la piccola cronaca e la grande storia s'icontrano

Rat urine. As we feast on succulent turkey, moist stuffing, and glistening cranberry sauce this Thanksgiving, the furthest thing from our minds is probably rat urine.Yet it’s quite possible that America as we know it would not exist without rat urine and leptospirosis, the disease it spreads. The disease conveniently cleared coastal New England of Native Americans just prior to the Pilgrims’ arrival and later killed the helpful Squanto. It still lurks among us, underdiagnosed, an emerging menace.

Signori della giuria, non ho altre domande

Trovata qui. Cliccare per ingrandire.

martedì 20 novembre 2012

"This is the best bad plan we have, sir"

Dopo aver visto il suo primo film, quattro anni fa, scrissi qui un commento piacevolmente sorpreso per la capacità di Ben Affleck di fare un film di genere onesto e ben riuscito. Un paio d'anni fa ho visto il suo secondo film, The Town, ma non ci trovai niente di speciale. Soprattutto perché si trattava del secondo film, ma non risultavano notevoli passi avanti rispetto al primo.
Poi venerdì sera ho visto Argo: è un film straordinario per tensione, ritmo e coinvolgimento. Davvero notevole, uno dei film più belli dai tempi di Drive.

giovedì 15 novembre 2012

Io l'ho capita così

C'è la crisi, e un bel po' di persone vanno in piazza e manifestano contro la crisi. Personalmente, trovo completamente fuori luogo una manifestazione contro la crisi, perché la crisi non è un atto intenzionale, non è un progetto di legge, non è un provvedimento esecutivo. La crisi è l’effetto di una quantità di eventi: alcuni macroscopici, altri inavvertibili e un sacco che stanno nel mezzo. Si tratta di eventi che a loro volta intervengono su un fascio complesso di variabili, nel quale stanno i soldi veri delle banche e le politiche del FMI, le aste dei titoli di stato, la distruzione di un ponte, la rinascita di una comunità di montagna, le rate del mutuo, un aborto non praticato, il successo di una lavanderia aperta da un 25enne, un frigorifero acquistato. Isolare un solo elemento dal resto del fascio non serve a comprendere le cose. Qualsiasi posizione definitiva e perentoria è di per sè sbagliata: protestare contro la crisi, da questo punto di vista, oltre a prevedere l'implicazione che ci sia qualcuno a favore della crisi, è come protestare contro la città di Saragozza. O contro l'anno 2011.
Ma comunque, al di là delle mie impressioni personali, le proteste e i cortei si sono portati dietro i soliti deprimenti racconti di contorno. Vetrine sfasciate, scontri di piazza, cittadini pestati dai poliziotti.
Ho da dire cinque cose un po' sbrigative.
La prima è che c'è qualcosa che non torna nel solito racconto secondo cui il corteo è composto da tanti pacifici e pochi violenti. In mezzo, niente. Un confine netto come quello che separa due stati, due paesi, due province. Un punto di vista che separa sommariamente due modi così contrapposti di vivere e praticare una protesta non sta in piedi. Secondo me è più realistico ipotizzare che ci siano i pacifici convinti che di fronte alla vetrina sfasciata intervengono arrabbiati e dicono cazzo fai, i pacifici che di fronte alla vetrina sfasciata non intervengono e se ne vanno contrariati, i pacifici che di fronte alla vetrina sfasciata non intervengono e anzi si prendono bene, i pacifici che di fronte alla vetrina sfasciata non intervengono e propongono di sfasciarne un'altra ma poi non la sfasciano, i violenti che sfasciano la vetrina. E si ricomincia daccapo. Naturalmente la distribuzione quantitativa di questi gruppi vede la maggior parte abitata dai pacifici più convinti, ma così mi sembra più corrispondente alla realtà delle cose. Meno distanza pura, più sfumature. Poi, guardate, non so nemmeno se ci siano state davvero vetrine sfasciate. Le prendo come icona relativa al contesto. Manca, nella mia ricostruzione, l'elemento ormai sempre più trascurato del servizio d'ordine interno alla manifestazione: pacifici fidati e forzuti, pronti a intervenire con una chiave a brugola del 30 tirandola in testa al primo sfasciatore di vetrine.
La seconda è che sfasciare le vetrine è una cosa da idioti, narcisi, fascisti. 
La terza è che il discorso delle distanze e delle sfumature vale evidentemente per le forze dell'ordine, con la fondamentale differenza che le forze dell'ordine sono composte da pubblici ufficiali che in quanto tali rappresentano l'intera comunità e le istituzioni che la governano. Qualsiasi ricorso gratuito alla violenza e qualsiasi iniziativa non necessaria rispetto alla procedura sono quindi più gravi di quelli effettuati dai manifestanti: è la differenza che passa fra il rappresentare se stessi e il rappresentare lo stato.
La quarta cosa è che, per fortuna, la Diaz e Bolzaneto non c'entrano una mazza. Non si può, ogni volta che qualche poliziotto combina una cazzata, tirare fuori il jolly di Diaz e Bolzaneto. Se volete anche per ragioni di memoria storica.
La quinta cosa l'ha scritta Francesco Costa e secondo me ha ragione, come spesso gli succede: la manifestazione tradizionale è un format che si ripete uguale ogni anno, al seguito del quale il dibattito si concentra sugli scontri di piazza e sugli episodi violenti, derubricando al volo qualsiasi contenuto (eventuale) interno alla manifestazione stessa. È insomma un evento che ottiene immancabilmente e per ragioni strutturali il fallimento dell'obiettivo che si prefigge di conseguire. Forse è il caso di pensare a qualcos'altro, come hanno fatto i vari movimenti Occupy in giro per il mondo.

Ps: la premessa è un po' indebolita dal fatto che alcune delle proteste erano rivolte anche contro le misure di austerity del governo. Se non altro si tratta di cose più circostanziate e contro cui è più plausibile l'idea di protestare.

lunedì 12 novembre 2012

"Raga, mi raccomando, non facciamo gli italiani"

Sono nato nei primi Anni Ottanta, i miei genitori sono dipendenti comunali in pensione, i miei primi ricordi politici risalgono agli anni di Tangentopoli; sono cresciuto dentro scuole, licei e università pubbliche, ho trascorso il mio tempo leggendo libri, guardando film e serie Tv, ascoltando pacchi di musica e uscendo con i miei amichetti nella piccola provincia in cui ci è capitato di nascere; mi piace perdere tempo in rete, mi piace bere la birra, mi piace fare tardi, mi piace imparare cose nuove, mi piace scrivere, mi piace lavorare con i ragazzi, un giorno vorrei diventare insegnante di letteratura inglese.
Sono uno come centomila altri, là fuori: non abbiamo fatto in tempo a essere comunisti o democristiani o chissà che altro e abbiamo trascorso gli ultimi anni sflanellando all'opposizione del Cav, sostenendo più o meno appassionatamente i governi guidati da Romano Prodi e conservando un'opinione complessivamente buona del governo Monti.
Da quando è stato fondato cinque anni fa, le poche volte in cui non ho deciso di astenermi, ho sempre votato il Partito democratico perché penso che sia il partito che meglio rappresenti la mia visione della società. Quanto e come mi rappresenti è secondario, in un sistema democratico: il partito perfetto non esiste, il presidente del consiglio da poster in cameretta non esiste. Affermare se stessi dicendo di no, distinguersi dicendo "a me non piace", alzare la mano per dire "non è abbastanza questo, dovrebbe essere più quello", lamentare che il Pd non è sufficientemente X, Y e Z sono tendenze che ho abbandonato da tempo.
Perché? Perché a differenza di molte persone che lo votano -ma anche di alcune che non lo votano- un giorno ho capito che il Pd non è roba mia. Non faccio parte del Pd: volessi davvero cercare di cambiarlo e di avvicinarlo alle mie posizioni personali, prenderei la tessera, andrei in sezione, farei militanza. Ma siccome non lo faccio, siccome non ho intenzione ora di spendere il mio tempo occupandomi di queste cose, attenzione che arriva un concetto fondamentale della vita adulta, non rompo i coglioni. 
Ci sono questi del Pd. Secondo me sono sufficientemente in gamba da essere votati. Li voto. Cinque minuti dopo averli votati, penso ad altro, faccio altro, fossero anche partite di calcetto o chiacchiere al bar. Fine delle menate. 
Il 25 novembre io non sarò in Italia, perciò mi asterrò al posto di un mio amico che alle primarie del centro-sinistra voterà per me.

Parentesi: sì, probabilmente il meccanismo che rende necessaria la registrazione è un po' complicato. Lo è quanto pagare una bolletta oggi e una domani, però; lo è meno di rinnovare la patente e a conti fatti lo è meno di andare a fare la spesa il sabato pomeriggio. Avete l'intenzione di esercitare un vostro diritto e di incidere sulle sorti della prossima legislatura? Bene, bravi. Allora fate così. Un giorno andate, vi registrate e dite ciao grazie. Un altro giorno andate, fate un sorriso, mettete una x e dite ciao grazie. I partiti che hanno scritto le regole chiedono un impegno minimo che testimoni l'intenzione radicata di votare la coalizione di sinistra ad aprile, chiunque vinca a novembre. Non è troppo. Ci sta. Quindi -lo so, io sto da un'altra parte, parlo facile, radical chic- date retta: se v'interessa, alzate il culo e andate a votare. Non diventerete meno belli o meno colti, non vi cascheranno le orecchie e non corromperete i vostri principi. Potete registrarvi una domenica e andare a votare quella successiva. O addirittura fare entrambe le cose lo stesso giorno. E la domenica, non preoccupatevi che lo so, non avete un cazzo da fare.
E poi pensateci bene: di là Berlusconi non c'è più e il Pdl si sta frantumando, la Lega perderà un po' di voti, il centro è ancora un po' confuso e Di Pietro è in crisi dura. Restano Grillo e la sua legione di accoliti, che si porteranno via un bel po' di voti. Insomma, intendo dire che le condizioni sono abbastanza favorevoli. Battiamo il ferro finché è caldo, rosso di sera bel tempo si spera, facciamo trenta e trentuno, mandiamo giù qualche compromesso e qualche alleato che non ci piace: Vendola e/o Casini, nel mio caso. Se facciamo tutto questo e poi va male, vi autorizzo a chiamarmi al telefono personalmente e mandarmi affanculo. Chiusa parentesi.

Pur con diverse diffidenze e perplessità, pur conservando una buona opinione di Bersani, Fassino, Bindi e D'Alema -che per inciso vedrei benissimo al Quirinale, ma non ci andrà mai- voterò Matteo Renzi. Su una cosa, a mio avviso, il sindaco di Firenze -che su diverse cose mi piace poco- ha evidentemente ragione: la classe dirigente della scorsa generazione ha fallito e di conseguenza va sostituita. Se stiamo come stiamo, e non stiamo bene, è anche -anche- perché l'attuale dirigenza del Pd, nonostante sia composta da gente in gamba e preparata eccetera, non ha portato a casa risultati adeguati e soddisfacenti. Bravi ma non abbastanza, per essere sintetici.
Certo, l'Italia è un Paese storicamente di destra, Berlusconi è stato un'anomalia ingombrantissima, negli Anni Novanta la sinistra europea ha dovuto ricostruirsi un ruolo e un'identità nel mondo post-sovietico, eccetera. Rimane secondo me condivisibile la valutazione di Renzi, che del resto si adegua alle tendenze diffuse anche all'estero. La politica non è un percorso di carriera trentennale, uno ci prova e se non ci riesce poi fa altro. Ricordate Al Gore, per esempio?

Desidero un Paese più moderno e più equo, un Paese in cui non si nutra rancore coi ricchi solo perché sono ricchi, un Paese in cui si assuma di più ma si licenzi anche di più, in cui il mercato del lavoro non sia devastato dal dualismo contrattuale che separa chi è iperprotetto da chi non lo è per niente, un Paese la cui burocrazia non complichi la vita di chi vuole fare impresa, con un'amministrazione pubblica più leggera e più efficiente, con un carico di pressione fiscale più leggero per cittadini e aziende e con una legislazione tributaria che preveda il carcere per gli evasori; desidero un Paese in cui tutte le corporazioni professionali (dai farmacisti ai notai, dagli insegnanti ai tassisti) rinuncino al particolarismo dei loro orticelli e imparino -altro concetto fondamentale della vita adulta- a mettersi in tasca sacrifici e compromessi in ragione del più ampio e apprezzabile bene comune della vita collettiva; desidero un Paese caratterizzato da una cultura scientifica più avanzata, da una classe politica indipendente dalle istanze dogmatiche espresse dal Vaticano e da un Parlamento capace di legiferare senza entrare a gamba tesa sui temi relativi al corpo degli individui, un Paese in cui le carceri recuperino la funzione rieducativa della pena e in cui l'opinione pubblica sia disgustata dal giustizialismo, dalla forca e dai processi a mezzo stampa. Desidero un'Italia in cui non mi venga da ridere o da sentirmi ridicolo mentre ascolto e canto l'inno nazionale: un Paese un po' più anglo-sassone, un po' più rigidamente severo con se stesso, meno individualista, meno svogliatamente insoddisfatto. Desidero cose piuttosto normali, se non banali.
E attenzione, sarei molto felice se in caso di vittoria Renzi affidasse a Bersani la guida di un ministero importante. Bersani è bravo, fa sforzi apprezzabili di comunicare (velo pietoso sulla cosa da ubriachi in homepage oggi) con me e quelli della mia generazione. Renzi no. Non ne ha bisogno perché comunica naturalmente con gli strumenti più frequentati e riconosciuti da noaltri giovinastri, senza sforzi. È uno di noi, in qualche modo, ma al tempo stesso è uno competente e ambizioso che si dà da fare. Ha sfidato il candidato a sindaco di Firenze del Pd, nel 2009, lo ha battuto e oggi amministra con efficacia una città importante.
E infine voto Renzi perché mi sembra il politico più credibile per cominciare quel lavoro faticoso e necessario di lotta politica contro la sinistra più conservatrice di questo Paese. La sinistra di Vendola e quella dei centri sociali, certo, ma anche la sinistra che sta dentro un bel pezzo del Pd. Su quest'orizzonte a mio avviso fondamentale, delego le argomentazioni a due persone intelligentissime.
La prima è Massimo d'Alema in un mirabile discorso di molti -troppi- anni fa, in cui individua -erano gli anni dei governi Blair, in fin dei conti- un equivoco anche rovinoso interno alla sinistra fra mezzi e fini, ragioni e strumenti. E individuandolo, si riferisce esattamente alla sinistra conservatrice. Mi chiedo cos'abbia fatto, di queste riflessioni, nel frattempo. Però sono ancora validissime, anzi lo sono oggi più di allora:
La sinistra ha un problema anche suo, cioè come affermare le ragioni costitutive della sinistra nel momento in cui entrano in crisi i parametri dentro i quali la sinistra ha organizzato la sua funzione storica: lo Stato nazionale, un certo modo di essere del lavoro, etc. Io credo che ci sia una sinistra che è talmente innamorata degli strumenti con i quali ha agito, che finisce per perdere le sue ragioni costitutive. Nella discussione sul Welfare mi permetto di dire che certe posizioni che appaiono più di sinistra, negano in radice le ragioni della sinistra. Dov’è la ragione della sinistra in chi dice che non è giusto che la stessa figura sociale, il disoccupato, possa avere la cassa integrazione, il prepensionamento se è stato difeso dai sindacati, o la pensione di invalidità se trova un uomo politico che lo aiuta, o niente? Questa è la realtà dell’Italia. Ma chi difende questo tipo di situazione è di sinistra? No, difende conquiste della sinistra, e indubbiamente la cassa integrazione è una conquista della sinistra, ma non difende le ragioni della sinistra, cioè l’eguaglianza. E finisce per produrre una frattura fra le generazioni che diventa insanabile, se non vi poniamo rimedio. Allora io credo che la sinistra debba ritrovare le sue ragioni costitutive, anche mettendo in discussione gli strumenti attraverso i quali ha costruito anche la sua forza, il suo insediamento sociale avendo un po’ di fiducia nella trasformazione. Noi dobbiamo scommettere sul progresso.
La seconda è Alessandro Baricco, l'anno scorso, in una delle iniziative messa in piedi proprio da Renzi.


Se c’è qualcuno capace di mettere in piedi ‘sta roba, adesso, mi sa che è Matteo Renzi più di Pier Luigi Bersani. E magari mi sbaglio.
Poi vediamo come va. E se va che vince Bersani, sosterrò Bersani. Sapete come?
Mettendomi in tasca la sconfitta e senza rompere i coglioni.

venerdì 9 novembre 2012

"Two scientists were racing for the good of all mankind"

Interrompo finalmente un periodo lungo di totale disinteresse per nuovi ascolti musicali. Ho scaricato un disco tre giorni fa, e come mi succede spesso con la roba che mi piace, ci sono finito dentro mani e piedi. Lo ascolto costantemente. È bellissimo. Si chiama The Soft Bulletin. È del 1999. L'hanno scritto i Flaming Lips, una band di Oklahoma City che ha avuto diverse vite successive. In questo disco suonano cose pop molto orecchiabili e al tempo stesso orchestrali, senza rinunciare a qualche elemento psichedelico e strutturando le canzoni in modo eccentrico.  
Comincia con questa canzone un po' sgrammaticata e storta, ma piena di piccole cose, di ricami nascosti in sottofondo. E poi il testo racconta -in modo un po' stralunato- di due scienziati che competono per il bene dell'umanità, ma che in fin dei conti sono solo due esseri umani con le loro mogli e i loro figli. Mi hanno fregato. 

mercoledì 7 novembre 2012

Obama 2012

Voi dite quello che volete, ma io sono contentissimo che abbia vinto un'altra volta.

Augh

Quattro anni fa ho fatto la notte in piedi e ho scritto una cinquantina di post. Quest'anno confermo la nottata in piedi ma mi sa che il blog non lo aggiorno.

martedì 6 novembre 2012

Ci rivedremo in tribunale, altro che via Solferino

Avete presente la palla di pelo e cotone che si forma a volte nell'ombelico? Ecco, questo post parla più o meno di quello, metaforicamente.

Un paio di settimane fa, stavo navigando fra le pagine de La lettura sul sito del Corriere. A un certo punto noto la promozione di una rubrichina della rivista. Qualcosa come "Hai scritto un romanzo? Lascia qui il tuo incipit." Un piccolo concorso perfetto per un Paese di mitomani e geni incompresi con il romanzo formidabile nel cassetto.
Così, al volo e per gioco, m'invento una cosa sul momento e la invio. Quello che avevo in mente era questo, più o meno: attaccare con una serie di cose intenzionalmente molto banali e montate fra di loro in modo stereotipato, e poi fare una capriolina nel finale e cambiare completamente scenario. Senza grandi ambizioni, volevo più o meno prendere per il culo i partecipanti al concorso, ecco.
Il titolo, poi, l'ho scelto come citazione di uno degli incipit più strepitosi di sempre: quello de Il giovane Holden. La redazione del Corriere mi ha comunicato settimana scorsa di aver scelto di pubblicare la mia idea, per mio piacere e divertimento. Qualche minuto fa, però, ho scoperto che hanno tagliato dall'incipit la capriola, lasciando dunque solamente i contenuti più poveri e intenzionalmente banali. Quanto al titolo, se ne sono inventato un altro, arido e scontato. 
Quindi facciamo che qui sotto incollo quello che ho scritto, con il titolo che ho scritto. Lascio a voi tutte le considerazioni del caso su quanto questa storia sia beffarda e al tempo stesso rivelatrice di certi gusti letterari. 
Se davvero volete saperlo 
Uccise un’altra anaconda gigante, la superò senza guardarla e impostò la combinazione esatta per aprire il cancello. Corse a perdifiato lungo un ponte traballante e quando arrivò nella sala comandi vide che c'era qualcuno ad aspettarlo. Soltanto alla fine di quella storia da cretini, si rese conto di dover ricominciare tutto dall’inizio. A quell’idea aveva fatto l’abitudine, ormai. Non aveva ancora preso confidenza, tuttavia, con la sensazione infame che ogni volta faceva capolino nella sua testa. 
Ma comunque erano le 7 del mattino. Doveva spegnere la Playstation, uscire, prendere il pullman e andare a scuola. Quella canaglia della Buratti interrogava su Seneca.

giovedì 1 novembre 2012