giovedì 17 settembre 2009

La gaia scienza, cioè scimmie senza peli con la schiena dritta, cioè pirlatine desossiribonucleiche che sopravvivono nei corpi nostri

Negli ultimi giorni, alcuni testoni americani si sono avventurati in un dibattito su, ah-ehm, Dio. Più precisamente, del rapporto fra Dio ed evoluzionismo.
Al Wall Street Journal, han deciso che val la pena pubblicare quello che si dicono, intitolando il tutto Man vs. God. Fra i vari contributi, ce n'è uno di Richard Dawkins.
Richard Dawkins è uno scienziato british piuttosto famoso per aver scritto un libro che si chiama Il gene egoista. Libro che io ho letto; non c'ho capito tutto, ma insomma è una bella botta e poi io di biologia e genetica non è che sappia granchè.
Ad ogni modo, dato che l'opera mi ha abbastanza impressionato e colpito nei suoi concetti generali, mi sono letto quello che Dawkins ha avuto da dire nel dibattito (già intuendo la sua posizione almeno agnostica, visti anche alcuni suoi documentari decisamente antireligiosi) e l'ho tradotto. Nella prima parte, Dawkins gira molto intorno a due concetti, anche elementari. Nella seconda, va giù un po' più duro (l'asterisco segnala l'inizio della seconda parte).
A volte convince, altre meno, ma vale comunque la pena dare un'occhiata:

Prima del 1859 (anno in cui Darwin ha dato alle stampe L'origine della specie, ndgeffe), sarebbe sembrato naturale essere d'accordo con il reverendo William Paley, quando, nel suo Teologia naturale sostiene che la più grande opera di Dio era la creazione della vita. In particolar modo (con un tocco di vanità), la vita umana.
Oggi, noi modificheremmo l'affermazione: l'evoluzione è la più grande opera di Dio. L'evoluzione è la creatrice della vita, e la vita è probabilmente la più sorprendente e più bella realizzazione che leggi della fisica abbiano mai generato. L'evoluzione, per citare una T-shirt inviatami da un simpatizzante, è il più grande spettacolo della terra, è l'unico gioco in città. In effetti, l'evoluzione è probabilmente il più grande show dell'intero universo. L'impressione di molti scienziati è che ci siano forme di vita evolute indipendentemente, allineate intorno a isole planetarie per tutto l'universo - sebbene, sfortunatamente, troppo scarsamente sparpagliate per poterle incontrare.
E se c'è vita da qualche altra parte, è qualcosa di più forte di una semplice impressione dire che questa si rivelerà essere vita darwiniana. L'argomento a sostegno dell'esistenza di vita aliena è più debole dell'argomento secondo cui - se davvero esiste - è vita darwiniana. Ma è anche possibile che noi siamo davvero soli nell'universo. In questo caso, la Terra, con il suo incredibile spettacolo, è il più notevole pianeta dell'universo.

Cos'ha di così speciale, la vita? Non viola mai le leggi della fisica. Niente lo fa (Se qualcosa lo facesse, i fisici dovrebbero semplicemente formulare nuove leggi -è successo spesso nella storia della scienza). Ma sebbene la vita non violi mai le leggi della fisica, le spinge in strade sorprendenti, che sbalordiscono l'immaginazione. Se non sapessimo nulla della vita, non crederemmo che fosse possibile - e, naturalmente, non ci sarebbe nessuno per strada, a fare lo scettico!

Le leggi della fisica, prima che l'evoluzione darwiniana prorompesse dal loro petto, possono realizzare sassi e sabbia, nuvole e stelle, vortici e onde, galassie nebulose e luce che viaggia sotto forma di onde pur mantenendo una struttura molecolare. E' un universo interessante, affascinante e, in molti modi, profondamente misterioso.
Ma, ora, entra in gioco la vita. Guardate, attraverso gli occhi di un fisico, un canguro, un pipistrello, un delfino, una sequoia. Non c'è mai stato un sasso che ha saltato come un canguro, un ciottolo che ha strisciato come una blatta per cercare un compagno; mai un granello di sabbia ha nuotato come una pulce d'acqua. Mai una volta queste creature disobbediscono di un millimetro le leggi della fisica. Ben lontante dal violare le leggi della termodinamica, sono state immancabilmente guidate da esse. Ben lontane dal violare le leggi del movimento, gli animali le sfruttano a loro vantaggio mentre camminano, corrono, evitano e sterzano, saltano e volano, raggiungono una preda o si mettono al sicuro.
*
Le leggi della fisica non sono mai violate, eppure la vita emerge in territori non classificati. E come diavolo è possibile? La risposta è scritta in un processo che, sebbene variabile nei suoi meravigliosi dettaglia, è sufficientemente uniforme per meritarsi un unico nome: l'evoluzione darwiniana, la regolare sopravvivenza di informazioni codificate che variano casualmente.
Sappiamo, nella misura in cui sappiamo qualsiasi cosa nella scienza, che questo è il processo che ha generato la vita sul nostro pianeta. E la mia scommessa, come ho detto, è che lo stesso processo è in corso ovunque al vita possa essere trovata, ovunque nell'universo.
E se il più grande show della terra non fosse il più grande show dell'universo? E se su altri pianeti ci fossero forme di vita evolute ben al di là del nostro livello di intelligenza e creatività, al punto che noi dovremmo considerarle divinità, se fossimo così fortunati (o sfortunati) da incontrarle?
Queste sarebbero divinità? Non saremmo tentati di cadere sulle nostre ginocchia e adorarle, come farebbe un contadino medievale che improvvisamente avesse l'opportunità di vedere un Boeing 747, un telefono cellulare o Google Earth?
Ma, per quanto gli alieni possano avere sembianze divine, non sarebbero dei, e per una semplicissima ragione. Non hanno creato l'universo; quest'ultimo ha creato loro, esattamente come ha creato noi. Creare l'universo è l'unica cosa che nessuna forma di intelligenza, per quanto sovrumana, può aver fatto: data la sua complessità, avrebbe dovuto nascere e svilupparsi a tappe graduali, dai più basilari primi passi: da un universo inanimato- quello spazio esonerato dai miracoli che è la fisica.
Per un'ostetrica, questo tipo di nascita e sviluppo è l'eccezionale conquista dell'evoluzione darwiniana. Comincia con una semplicità primitiva e si sviluppa, seguendo lenti e intellegibili passi, l'affioramento della complessità: una specie illimitata di complessità -certamente più alta del nostro grado di complessità e probabilmente molto oltre.
Ci possono anche essere mondi in cui la vita sovrumana prospera (sovrumana al punto che la nostra immaginazione non riesce a concepire); ma sovrumano non significa soprannaturale. L'evoluzione darwiniana è l'unico processo conosciuto che è definitivamente in grado di generare una complessità come quella di un'intelligenza in grado di creare qualcosa. Una volta che questo avviene, naturalmente, quelle stesse intelligenze possono creare altre cose complesse: opere d'arte, composizioni musicali, tecnologie avanzate, computer, Internet e chissà cos'altro in futuro. L'evoluzione darwiniana può anche non essere l'unico proceso generativo dell'universo. E' possibile che esistano altri strumenti (qui c'è tutto un gioco di parole riferito al libro di un altro scienziato) che non abbiamo ancora scoperto, o immaginato. Ma, per quanto meravigliosi e per quanto diversi possano essere dall'evoluzione darwiniana, questi strumenti non possono essere magici. Dovranno condividere con l'evoluzione darwiniana la capacità di mettere in movimento la complessità con lo status di proprietà emergente, derivante dalla semplicità, e mai in contraddizione con le leggi naturali.
Ma questo discorso, dove lo lascia Dio? La cosa più educata che si può dire è che lo lascia con le mani in mano, e con nessun risultato che possa suscitare le nostre preghiere, le nostre celebrazioni e le nostre paure. L'evoluzione è la cassa integrazione di Dio, la sua lettera di licenziamento.
Ma dobbiamo andare oltre.
Un'intelligenza complessa, in grado di creare e al tempo stesso disoccupata non è solo di troppo. Un architetto divino non può che essere bocciato dalla considerazione secondo cui deve essere complesso al massimo quanto le entità che lo hanno chiamato in causa in cerca di una spiegazione. Non è che Dio è morto, è che non è mai stato vivo.
Ora, c'è una scuola di teologi moderni e sofisticati che può dire qualcosa come: "buon Dio, naturalmente non siamo così ingenui e semplicioni da preoccuparci dell'esistenza di Dio. L'esistenza è una questione così da Milleottocento! Non importa se Dio esiste in un senso scientifico. Quello che importa è se esiste per te o per me. Se Dio è reale per te, a chi importa se la scienza l'ha reso di troppo? Che arroganza, che elitismo."
Bene, se questa è quello di cui siete convinti, troverete pochi sodali. L'orientamento generale dei popoli del mondo è molto chiaro. Loro credono in Dio, e questo significa che credono che esista in una realtà oggettiva, così come la Rocca di Gibilterra. Se questi teologi sofisticati o relativisti postmoderni stanno recuperando Dio dal cassonetto dell'inutilità sminuendo l'importanza di quel che esiste, dovrebbero pensarci due volte.
Dite alla congregazione di una chiesa o di una moschea che l'esistenza è una categoria troppo rozza da attribuire al loro Dio, e loro vi bolleranno come un ateo.
Avranno ragione.

2 commenti:

Nich ha detto...

Discorso complessino. Difficile tirare delle somme. In generale mi sembra filare tutto, tranne questa frase: "Un architetto divino non può che essere bocciato dalla considerazione secondo cui deve essere complesso al massimo quanto le entità che lo hanno chiamato in causa in cerca di una spiegazione" Nessuno chiama in causa Dio. Neanche l'evoluzionismo può mettere in dubbio questa cosa.
Ma poi basta parlare di Dio, che palle! Anche esistesse un'entità superiore da cui deriviamo (cosa in cui po' credo) non saremo mai in grado di spiegarla. Noi non dobbiamo niente a questa entità e lei non deve rendere conto di certo a noi. Il più grande errore della religione è quello di umanizzare qualcosa (Dio) che di umano non ha proprio niente. Insomma, occupiamoci di cose più utili e alla nostra portata.

GF ha detto...

Le entità, entities nel pezzo, sono i fedeli: per definizione, loro chiamano in causa Dio per spiegarsi delle cose del mondo.
Rileggendolo, comunque, mi sono accorto di alcuni passaggi un po' difficili da capire: dipende più dalla mia traduzione che non dall'esposizione dell'ottimo Dawkins..