venerdì 25 settembre 2009

Qualche gnomo nella macchina da presa

Quand'ero di là dall'oceano in vacanza, in giro c'erano due promozioni dure di film in uscita: District 9 e Inglorious Basterds.
Beh, parliamone.

Il primo (esce oggi) è una roba interessante dal punto di vista formale (se si supera l'effetto sismico derivato dall'abuso della camera a mano) e piuttosto storta da quello del contenuto. Per farla breve, in District 9 gli alieni arrivano sulla Terra, a Johannesburg, e vengono rinchiusi, a centinaia di migliaia, in una specie di baraccopoli. Un dipendente della MNU (super azienda di armi) gira un documentario (che poi è la cornice dentro cui viene raccontato tutto quanto) e ha dei casini che lo portano a frequentare più da vicino il mondo degli alieni. Da qui, si sviluppa il resto.
I colpi di scena funzionano, la storia, pur traballando qua e là, sta in piedi. C'è la spielbergata dell'astronave parcheggiata nel cielo della città, ci sono trovate e belle sequenze.
Il problema è che, ho l'impressione, nel suo svolgimento il film si stacca molto dalla sua idea di partenza. Si parte con metafore buone sull'immigrazione, sui conflitti razziali e sul rapporto con le minoranze e si chiude con un serie di giochini sentimentali e famigliari. In mezzo, manca un po' l'uovo che tiene insieme la torta, se mi perdonate la metafora.

Il secondo (esce venerdì prossimo) è il filmazzo di Tarantino, omaggio a una pellicola italiana degli anni '70. Di rappresentazioni che tirano dentro nazi, ebrei e sangue zampillante, ce ne sono a camionate. Ma la cosa bella di Inglourious basterds è che racconta una storia in cui gli ebrei (americani e tedeschi) sono cattivi e violenti. Anche molto cattivi e violenti, al punto da collezionare scalpi crucchi. Sono dei bastardi, insomma, e senza gloria. Per la strada di questi bastardi, s'infilano la vicenda personale di una ragazzina sfuggita alle SS cui capita di poter consumare la sua vendetta, una parallela missione militare inglese e la proiezione di un film nazi. Finale contorto in cui tutto viene al pettine, ok sì anche voi siete stati al cinema -o avete letto un libro- negli ultimi 20 anni.
Quanto ai personaggi e ai dialoghi, Tarantino tiene botta e conferma le sue cose migliori (con gli immancabili riferimenti alla produzione spaghettara di Sergio Leone): i primi sono un po' storti, caricaturizzati, gonfiati, colorati e talvolta improbabili. I dialoghi sono forse meno appassionanti, ma più densi, e spesso divertenti.
Sparpagliate qua e là, ci sono diverse minchiatine gustose: micro-flashback, un po' di crudeltà snocciolata come si deve e ottime ricostruzioni dell'epoca.
L'idea migliore del film, tuttavia, ha più a che fare con come i personaggi dicono le cose, e non con cosa dicono. Molto apprezzabile, infatti, la trovata in cui, a un certo punto -dentro a un film in cui convivono americani, tedeschi, inglesi, francesi e finti italiani, e ognuno parla la sua lingua ma anche altre- buona parte della matassa si sbroglia a seguito di un'intuizione -avuta da uno sbirraccio della Gestapo- basata su un parametro identitario relativo a una comunicazione non verbale: a seguire, sparatoria furibonda.
In altri film, sarebbe sembrata una cazzatona. Qui, funziona benissimo (e se non capite quel che dico, è normale; però un po' vi ho incuriosito).
Quanto al sugo della storia, in questo caso non si può prescindere dalla sua dissonanza con la realtà dei fatti: dal punto di vista dell'intreccio, Quentin s'inventa una capriola finale che sembra corrispondere ai sogni di un bambino, e certamente non a quanto riportato sui manuali di storia. Niente di male, di per sè, ma un po' di sostanza in più avrebbe reso grande un film che invece è "solo" molto divertente.

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