giovedì 29 ottobre 2009

Punto. A capo

Nel post segnalato due post sotto questo, Filippo Facci ha scritto un commento in cui sintetizza ineccepibilmente quello che di intelligente va detto a proposito di Travaglio, giornalismo e sentenze:

E comunque ’sta cosa delle diffamazioni ha stancato. Non ho mai giudicato Travaglio per le sue condanne. Additarlo come condannato per diffamazione, ad Annozero, era diventata una moda: lui rispondeva «non è vero», «mai», «nel mio casellario c’è scritto nulla». Veniva da difenderlo, da ricordare che i grandi vecchi del giornalismo hanno sul groppone centinaia di condanne che – si diceva un tempo – son tutte medaglie.
Ma non puoi neanche difenderlo: perché questo imbarbarimento, questo sostituire la fedina penale alla carta d’identità, questo far credere che un giornalista condannato per diffamazione sia un fatto clamoroso, tutto questo, insomma, è l’eredità culturale che Travaglio lascerebbe a questo mestiere se domani gli venisse un colpo. E’ la vera, sola grande diga che ha rotto: a cominciare da quando scrisse che le diffamazioni di Lino Jannuzzi meritavano il carcere.
Travaglio ha quattro condanne, due in civile e due in penale in primo grado, perciò nessuna definitiva: formalmente è incensurato. Complimenti vivissimi. Peccato che se ne fotta di chiunque sia nelle sue stesse condizioni: per impiccare un politico o un collega gli basta un verbale. Tempo fa andò a caccia di mie condanne per diffamazione tutte ritirate dai querelanti (perciò non presenti sulla fedina, come nel suo caso) e le pubblicò tutte.
Pensava di aver rivelato qualcosa di me. Lo ha fatto di sè.


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