mercoledì 6 ottobre 2010

Per fortuna che c'è Bruno, a tenerlo per mano

Ok. Va bene. Il neorealismo porcogiuda. No, dico. Il neorealismo. Siamo italiani, quindi il neorealismo. E se anche non lo fossimo. Il neorealismo. La cronaca che diventa storia, il quotidiano che diventa epoca.
Vaffanculo Lynch e Tarantino, non rompete le palle. Il neorealismo.
E ok. Va bene.
Ladri di biciclette? Beh, Ladri di biciclette è un capolavoro. Come ricostruisce l'Italia sfasciata di quegli anni. Come rappresenta la piaga della disoccupazione. Come racconta la solidarietà della brava gente, e la codardia della tanta gente. E il rapporto fra il padre e il figlio: stupendo, commovente.
Capolavoro, ok? Ladri di biciclette è un capolavoro.
Bella forza, direte. Mica lo scopri tu. No, infatti, certo. Mica lo scopro io. Lo sanno tutti che è un film gigante, sopravvissuto ai tempi, pieno di cose da dire anche a un pubblico che nemmeno si ricorda di Tangentopoli, figuriamoci del secondo dopoguerra. Mica lo scopro io. Capaci tutti a dire che quel Wolfgang Amadeus col pianoforte ci sapeva fare.
Però Ladri di biciclette.
Dovessi dirne 10, di film da portarmi sull'isola deserta a consumare il cristallino per la visione ininterrotta, io questo lo porterei. Davvero.
Ha tuttavia un notevole difetto: dopo averlo visto, e dopo averlo rivisto, ti vien voglia di prendere la tua vita, smontarla in piccoli pezzi, soffiartici il naso, cagarci sopra e poi morire. Sul posto. Solo. Inosservato. Fra i piccoli pezzi e la tua cacca.

(Io sto bene, eh)

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