mercoledì 22 dicembre 2010

Hey, Charlie

Voi prendete una canzone.
Voi prendete un blues cantato da una voce inconfondibile, profonda. Una voce che sembri venir su dal fegato. Metteteci sotto un pianoforte, e nient'altro. A questo punto, quello che vi serve, visto che volete scrivere una canzone natalizia, è un bel testo.
Costruite una bella cornice in cui inserire il racconto. Per esempio, una prostituta di Minneapolis che scrive a Charlie, evidentemente un suo amico. Fatele raccontare un mucchio di belle notizie, a questa prostituta. Per esempio, fatele dire che è incinta, che vive in un bell'appartamento sopra una libreria, che ha smesso di drogarsi e di bere. Il suo ragazzo suona il trombone, e lavora alla stazione. La ama molto, anche se il figlio non è suo. Le ha regalato un anello, e la porta fuori a ballare ogni sabato sera.
Perfetto: la sostanza c'è. Un'emarginata sopravvissuta a esperienze di sbandi e sconsideratezze: ora ha rimesso in piedi la sua vita, e aggiorna un suo conoscente dei grandi progressi ottenuti.
Poi vabbé, qualche brutta notizia bisogna mettercela, altrimenti si rischiano melensaggini eccessive.
E allora questa qui è andata a trovare i suoi vecchi giri di conoscenze in Nebraska, e chi non era morto stava in galera. D'altronde, non tutti ce la fanno, a sopravvivere agli errori di gioventù. Però dai, lei ce l'ha fatta.
Ora, bisogna risollevare gli umori. E lei pensa di essere felice per la prima volta dopo l'incidente, e rimpiange la quantità di denaro buttata via in droga, gli anni scorsi.


Tutto potrebbe finire così. Se non fosse per quel vecchio trucco del narratore inaffidabile. Quel trucco che concentra nel finale un pezzo decisivo del racconto, che è meraviglioso e disperato insieme: Hey Charlie, cristo santo. Vuoi sapere la verità? Non ho un marito, non suona il trombone e mi servono soldi per pagare l'avvocato. E Charlie, forse esco con la condizionale, a San Valentino.

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