mercoledì 25 maggio 2011

Hear my words that I might teach you

Certo che fa caldo oggi, eh?
Fa molto caldo, per essere fine maggio. E siccome sto qui in università protetto da un moderato livello di aria condizionata ad aspettare che il prof con cui sono in tesi liquidi i 10 laureandi che mi stanno davanti, provo a mettere giù una roba che da qualche tempo ritorna in successive discussioni che ho intrattenuto recentemente. Il tema è quello della persuasione, del convincere il prossimo delle proprie ragioni. E visto che l'ultimo interlocutore mi ha risposto "Neanche per il cazzo!" quando ho suggerito che c'è una relazione (non che sono la stessa cosa, o che molto spesso lo sono, o che in fin dei conti, gratta gratta, dà retta a un pirla, siamo lì: che-c'è-una-relazione) fra la capacità pedagogica e quella di persuasione, provo a mettere in fila qualche pensiero disordinato e grossolano sull'argomento. Perché mi sembra che fra la posizione per cui parteggio e le reazioni che suscita ci sia uno scarto eccessivamente incongruo. Quindi magari mi spiego male io, e vediamo cosa salta fuori.

Ah-ehm:
A livello generale, penso sia una buona cosa convincere il prossimo delle proprie ragioni. E "convincere" significa "convincere". A livello particolare, è molto buono convincere il prossimo di cose buone, e molto cattivo convincerlo di cose cattive. (Il che riconduce il tutto alla differenza fra cose buone e cose cattive. Tema spigolosetto e complessino. Ma ci stiamo lavorando, amigos.) Si può poi aprire una discussione sulle numerose modalità di tentativi di convinzione: io mi limito a pensare che siano accettabili e degni tutti quelli che usano strumenti dialoganti e logici, che lo facciano in trasparenza e a ragion veduta. Penso che la capacità di persuasione vada interpretata come un contenitore e non come un contenuto. Che non sia necessariamente sinonimo di arroganza o presunzione intellettuale. Che nel corso della storia di questo pianeta una quantità di persone di valore e coraggio si è spesa nel tentativo di professare la validità delle proprie idee: e per fortuna che lo ha fatto. Per fortuna che ci sono state le suffragette, quei bravi ragazzi del Civil Rights Movement, gli organizzatori della campagna propagandistica che ha portato alla stesura della 194 in Italia, eccetera. (Avrei potuto citare quello là che è morto il venerdì di pasqua, ma ho deciso di escludere esempi estremizzanti. Pat pat sulla spalla.)
Penso che ci sia una differenza sostanziale fra imposizione e persuasione, fra lavaggio del cervello e convincimento. Anzi, non c'è una differenza sostanziale: sono proprio due ambiti estranei uno all'altro. La persuasione rispetta la libertà personale, l'imposizione no. La persuasione non è nemica del dialogo e dello scambio di idee, ma un suo ingrediente fondamentale. Non c'è niente di male nel riuscire a convincere un ragazzino a non sputare in faccia ai suoi coetanei, un fascista a cambiare schieramento o un afro-americano ad andare a iscriversi ai registri elettorali. C'è semmai qualcosa di male nel convincere l'afro-americano a suon di botte. Ma qui si torna alle modalità esercitate, ai mezzi e ai fini. Insomma, ho letto anch'io 1984 di Orwell, e credo di averlo capito. Parla di un popolare programma Tv, no?

Provando a sviluppare un punto di vista molto personale e altrettanto limitato (ma almeno è una partenza, e converrete nell'ammettere che per me vale qualcosa), mi viene spontaneo affermare che la maggior parte delle -mon dieu- cose in cui credo (e che reputo complessivamente buone, visto che ci credo) non me le sono inventate io. Me le ha insegnate qualcun altro. Una lezione a scuola, un libro, la società in cui vivo, una discussione, un'esperienza, il banale trascorrere del tempo e diversi altri fattori. Ognuno con il suo peso, la sua dimensione, la sua rilevanza, la sua portata eccetera. E in alcune delle cose -piccole e grandi- in cui credo, non ho sempre creduto. Ci credo oggi, non ci credevo qualche anno indietro, e fra qualche anno chi lo sa. Ho spesso cambiato idea, insomma, e quando ho cambiato idea ho altrettanto spesso frequentato una spinta di persuasione. Sono stato convinto che la mia idea non solo era opinabile, ma che ne esisteva una preferibile perché più ricca, completa, argomentata: che fosse onesto e razionale sostituirla con quella che avevo in precedenza.
Quello che più mi sta a cuore sottolineare è quanto segue: non provo altro che gratitudine e ammirazione per lezioni, libri, discussioni eccetera che mi hanno persuaso, che mi hanno fatto cambiare idea. Perché -dal mio punto di vista, che naturalmente non esclude l'ulteriore eventualità di prendere una cantonata, e di cambiare idea un'altra volta- quelle lezioni, libri, discussioni eccetera mi hanno fatto cambiare una cosa peggiore con una migliore, una parziale con una più completa, una superficiale con una più saggia.

Non abbiamo alcun motivo razionale, a priori, per rifiutare di concedere la possibilità che il prossimo abbia un'idea migliore della nostra. (A posteriori no: a posteriori, le posizioni e le idee si distinguono in buone, cattive, ottime, pessime e la solita sbarcata di sfumature che stanno nel mezzo.) Persuadere il prossimo non significa certo -almeno non per me- escludere l'eventualità che sia invece il prossimo a convincere me. A ben pensarci, quindi, la benvenuta consapevolezza della possibilità di sostenere un'opinione sbagliata è complementare alla coscienza della possibilità di poter essere convinti da qualcuno che la propria opinione sia rivedibile e/o da rivedere. Cercare di convincere il prossimo della validità delle proprie ragioni significa automaticamente riconoscere l'eventualità simmetrica e opposta: cioè che sia il prossimo a poter convincere noi della validità delle sue. Quando pensiamo "Magari mi sbaglio", in un modo o nell'altro, pensiamo "Magari c'è qualcuno -o qualcosa- che mi può convincere che mi sbaglio". Il che significa riconoscere e accettare implicitamente la possibilità che l'interlocutore abbia un'opinione più intelligente e ponderata della nostra, e che si possa esserne persuasi, a discussione terminata. Tutto quanto mi sembra molto altruista, funzionale allo scambio di idee e all'arricchimento personale.

In estrema sintesi: ho imparato delle cose nella mia vita, e spesso le ho imparate perché "qualcuno" mi ha convinto che fossero giuste e desiderabili, che valesse la pena impararle. Non so se "qualcuno" fosse intenzionato a convincermi. E non m'interessa. Perlomeno, le intenzioni non m'interessano più del risultato: cioè che mi ha convinto. Non mi sento offeso quando qualcuno cerca di convincermi. E siccome sono molto grato a chi effettivamente mi ha convinto, non vedo per quale motivo dovrei rifiutare la possibilità di far cambiare idea al prossimo, come se questa possibilità equivalesse automaticamente a offendere le sue opinioni: senza dimenticare la differenza enorme che c'è fra "convincere" e "dover convincere", senza ricorrere a toni evangelizzanti, senza quel fastidioso senso di missione che trasforma Don Chisciotte da potenziale eroe a effettivo coglionazzo, senza la pretesa di considerare la mia opinione più seriamente della concretezza delle cose.

Fine.
Questo è quello che penso.
Se mi convincete che mi sbaglio, ve ne sarò molto grato.

3 commenti:

Ale ha detto...

Allora.. sono d'accordo che la capacità di persuasione non sia una cosa negativa, anzi. Come tante altre capacità, dipende da come la si usa. Sulla relazione con le capacità pedagogiche un pò meno d'accordo. Nel senso: non credo che avere scarse capacità di persuasione significhi avere meno capacità pedagogiche.
Molte delle cose che so me le ha insegnate qualcuno, ma non è detto che l'abbia fatto "persuadendomi". Banalmente: se io ti dico che un tal libro è bello, e poi tu lo leggi e ti piace, io non ti ho mica persuaso. Persuadere implica una specifica intenzione di convincerti. Tentare di persuaderti è quello che ho cercato (invano) di fare con il Profumo di Suskind ;)

Ale ha detto...

poi aprendo un altro discorso, quando dici "Cercare di convincere il prossimo della validità delle proprie ragioni significa automaticamente riconoscere l'eventualità simmetrica e opposta" (e mi viene in mente la discussione alla ribella).. beh, si avvicina di più a quello che intendevo io. Se cerco di spiegarti la mia opinione (la mia "ragione") su una cosa, non lo faccio perchè sono convinta di aver ragione, ma perchè penso che discuterne con qualcun altro mi possa dare elementi in più.. a volte anche cambiare idea.

Scusa se butto qui le cose in un modo un pò confuso e scritto male, ma tanto poi continueremo a litigarci a voce :)

GF ha detto...

Non penso che le due posizioni ("pensare di aver ragione" e "essere disposti a cambiare idea", per essere molto schematici) si contraddicano. Intervengono a livelli diversi: quando sosteniamo un'opinione solida e documentata facciamo bene -a priori, diciamo così- a pensare di aver ragione, ma ne abbiamo già discusso. Facciamo poi bene a cambiare idea, a posteriori, se le ragioni dell'interlocutore ci sembrano migliori e più fondate delle nostre. Secondo me, "Essere convinti di aver ragione" è una cosa, "Essere certi di aver ragione" un'altra: è un po' la differenza fra un'opinione razionale e un dogma.
Ma ne litigheremo meglio e più a lungo a voce, appunto.