mercoledì 15 giugno 2011

Sono pure troppe, sei parole

In un'intervista di qualche anno fa, Stephen King venne coinvolto in una sfida relativa alla sua abitudine di scrivere romanzi molto lunghi: raccontare una storia di paura usando pochissime parole. Se ne uscì con questa formidabile invenzione, a bruciapelo:
L’ultimo uomo rimasto sulla Terra è chiuso nella sua stanza. Bussano.
Ieri, al Post, hanno messo online le immagini relative a un sito che si chiama Six word story every day, in cui si raccolgono -sulla scia di un celebre, inconsolabile e strepitoso raccontino di Hemingway: Vendesi: scarpe per neonato, mai indossate- autobiografie illustrate composte solo da sei parole.
Sei parole in cui condensare, in una parola, tutto. Esperienze, punti di vista, poetiche e filosofie; ma pure minchiatelle, giochi di parole e stratagemmi narrativi di ogni tipo.
Ce ne sono di molto belle.
Generalmente si avvantaggiano, da un lato, della forza di quel minimalismo letterario che permette di esprimere suggestioni e significati in una manciata di sillabe, e da un altro, di quell'approccio un po' paraculo che attribuisce grandezze artistiche a espressioni stringate e di facilissima formulazione.
E' una dimensione in cui telegrafia ed ermetismo si mescolano molto, in una misura che confonde capacità di sintesi e spremute di compiacimento.
Il genere si chiama Flash Fiction.
Io ho provato a pensare alla mia autobiografia in sei lettere: ne è uscito il titolo di questo post. Per le vostre, c'è lo spazio dei commenti.

3 commenti:

Alex Fagiuolo ha detto...

Ho visto ieri il post sul post, però devo dire che la maggior parte sono belle solo perchè correlate da un bel lavoro grafico.
quella di King è geniale, anche se usa più di sei parole.

Poche parole san creare grandi sensazioni.

Alla mente basta poco per accendersi.

silvia* ha detto...

"non ha conquistato la persia" (e cito pure francesca genti

Gio ha detto...

Tra il male e il bene...