lunedì 23 gennaio 2012

L'isola dei tagliagole, o dei budget sperperati

C'è un amichetto mio che al cinema va matto per le tamarrate col fischio, quelle con l'attorone carismatico e indistruttibile, con la roba che salta per aria, con le sequenze dalla verosimiglianza discutibile: quelle che un editorialista di Repubblica definirebbe -mon dieu- americanate. Su queste cose, io a volte lo seguo e a volte no: stravedo per le punte di diamante tipo L'ultimo boy-scout o Die-Hard 3 ma altre visioni fatico a reggerle. Poi lui guarda anche altro, naturalmente: è per esempio a lui che devo il consiglio di vedere quell'opera totale che è Il settimo sigillo di Bergman. 
Qualche tempo fa, mi ha raccontato di un film la cui visione si era rifiutato di terminare. Era troppo brutto, diceva. Allora se n'è andato dalla sala prima della fine. Tutti incuriositi da un disgusto così radicale da parte di una sensibilità cinematografica foderata di titanio come la sua, ci siamo messi d'accordo per vederlo insieme. Si trattava di E venne il giorno, un film di Shyamalan: una cosa di fantascienza apocalittica con una famiglia americana incasinata nel mezzo della questione. Guardare quel film è come incontrare un tale ubriaco che, siccome non sta in piedi, blatera cose incomprensibili a un palmo dal tuo naso, verso il quale alita una puzza storta di vino scadente. Nemmeno a essere indulgenti e di bocca grossa e a chiudere gli occhi, si riesce a trovare un elemento sopportabile, in E venne il giorno. E parliamo di un film: cioè di una cosa a cui lavorano centinaia di persone. A un certo punto il protagonista implora pietà a una pianta. Seriamente, con un certo trasporto drammatico: si avvicina a una pianta e le chiede pietà. Allora produci la sacrosanta bestemmia e vai a farti un tè. 
Dal dibattito scaturito da quella visione, siamo venuti a conoscenza di un film che detiene il più tremendo record della storia del cinema: è il più grosso fallimento commerciale di sempre. Costato 115 milioni di dollari, ne ha incassati 10. Allegoria.
L'abbiamo visto ieri sera. Corsari (il cui titolo originale è il più affascinante Cutthroat Island) è uscito nel 1995, ed è un film d'avventura fatto a forma dei film d'avventura: duelli, colpi di cannone, scimmiette, marinai sporchi, tradimenti, funi che si spezzano, lampadari che si trasformano in liane, un tesoro da recuperare. Ecco, primo difetto del film: non c'è mai un momento in cui le motivazioni di mettere le mani sul tesoro siano condivise, drammatiche, coinvolgenti. Sono pirati, cercano un tesoro. Fine. Ho capito, ma è il caso di condirla un po', la menata di fondo, altrimenti sono topi che cercano il formaggio.
Poi, dal punto di vista formale (parentesi: certi film, bisogna vederli nella forma in cui sono stati pensati, e cioè su uno schermo enorme, accompagnati da una musica ad altissimo volume. Corsari è uno di questi) è fatto bene: ci sono un sacco di panoramiche aeree delle navi, gli scenari spaccano, le ricostruzioni dell'epoca sono fedeli, le comparse sono centinaia, la colonna sonora ha un senso, gli inseguimenti e le battaglie si srotolano con un loro ritmo intenso, l'esplosione finale della nave è perfetta. Si ha la sensazione che una bella fetta di budget sia finita qui, e che sia stata spesa bene.
Il problema del film è che pur funzionando decentemente sul piano dell'avventura, non funziona mai sul piano della commedia: ci saranno almeno 20 stacchi nei dialoghi in cui un personaggio dice una cosa divertente nelle intenzioni ma banale nei risultati. E si capisce facilmente che il regista prevedeva una risata del pubblico, in quel momento lì, ma di ganasce che sbattono nemmeno l'ombra. E poi il film è debolissimo nei personaggi: non ci si affeziona ai buoni (né alla Geena Davis caparbia e vigorosa né al Matthew Modine "spiritoso" e sempre nei guai) e non si è affascinati dai cattivi (già, ce ne sono due: quello istituzionale e quello piratesco). Non c'è mai, nemmeno brevemente, un attimo di introspezione psicologica: sono tutti quanti delle etichette che ripetono le battute nel rispetto dei cliché del caso. I personaggi secondari, inoltre, sono del tutto inutili. Nemmeno la scimmietta dà molte soddisfazioni.
A quanto ho letto qui e qui, le ragioni per cui il film è stato un simile disastro sono legate a una quantità di sprechi in produzione, alla strategia pubblicitaria non abbastanza aggressiva e alla difficoltà di ricreare un immaginario evocativo e attraente dei Caraibi in funzione di una pellicola che viene distribuita, voglio dire, pure voi, cazzarola, a natale. 
Dovessi fare la cosa di dare un voto, darei un sei, percependolo come un mezzo regalo. E però ne ho scritto qui perché è un film tanto sfigato da meritare un po' di simpatia. 

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