giovedì 31 maggio 2012

"I'm never going to see a Mer-man"

Dopo aver girato un importante film d'exploitation (L'ultima casa a sinistra) e aver messo in piedi la fortunata saga di Nightmare, nel 1996 Wes Craven fece uno di quei film per cui gli appassionati di Horror non hanno ancora capito se devono ringraziarlo per aver segnalato una certa schematicità dei meccanismi di funzionamento del genere o maledirlo da qui all'eternità per aver innescato il successivo spostamento del genere medesimo verso ambiti storti e farlocchi come il Torture Porn (i vari Saw, Hostel eccetera). Nel caso ve lo foste chiesti e la cosa v'interessi, io sono un fan del primo Argento, di Carpenter e di Raimi: non credo nell'inferno, ma se ci credessi vorrei che Craven ci finisse devastato dalla visione eterna e ininterrotta di questa puntata di Settimo Cielo
Ma insomma, Scream era un Horror che parlava degli Horror in modo esibito, autoreferenziale, con il ditino puntato e la mano alzata per rispondere alle domande dell'insegnante: una metapippa senz'altro acuta ma molto -troppo- compiaciuta delle sue capriole narrative e della sua autoreferenzialità. Chi lo difende sostiene che si tratti di un omaggio al genere, ma dagli omaggi dovrebbe trapelare una passione e una gratitudine che io in Scream non colgo minimamente.
Coi generi funziona così, a volte: quando sono inariditi dal manierismo e dai canoni convenzionali, quando la loro fruizione si svuota di significato o quando più banalmente le cose sono cambiate, si produce un momento di parodia farsesca e giocosa dei loro archetipi fondanti. C'è stata la Batracomiomachia per l'epica classica, L'Orlando furioso per l'epica cavalleresca medievale, c'è stato Scream per il genere Horror del cinema contemporaneo. 
Messa così è un po' ardita e forse fuori luogo, ma venitemi incontro: la sostanza è quella; e il problema di Scream è che Ariosto non solo conosceva perfettamente le canzoni di gesta che intendeva perculare, ma è stato anche capace di arricchire la sua opera formulando nuovi modelli letterari legati alla figura dell'eroe, nobilitando la frammentazione dell'impianto narrativo tramite l'orchestrazione di coincidenze e accidenti sincronizzati, mettendo in scena vicende sentimentali appassionanti e senz'altro più realistiche di certe derive angelicate dell'amor cortese, esprimendo una quantità di riferimenti alle piccinerie della vita di corte che tanto detestava ma con cui doveva convivere. Quindi ben venga la metanarrazione, ma se all'idea di partenza non aggiungi un grammo sei solo il secchione in prima fila.
Joss Whedon è nella stessa classe di Craven, ed è da poco uscito con The Avengers e Quella casa nel bosco. Ho visto Quella casa nel bosco due sere fa, e l'ho trovato una roba divertentissima e spaventosa. Riprende in mano tutto il procedimento meta di Scream, ma lo rinforza con una cornice esterna che ha una funzione comica straordinaria ed è in grado nel frattempo di non neutralizzare i momenti di paiuia dura che ci sono dentro la cornice. Grazie a quest'idea decisiva, Whedon è riuscito dove Craven ha inteso ma poi fallito: testimoniare l'amore -personale, prima ancora che professionale- per il genere senza limitarsi al giochino ozioso e smaccato. Difficile dire di più senza rovinare la visione: io pensavo di andare a vedere un gingillone come altri cento, e invece ho visto un Teen-Horror onesto ed efficace che fa ammazzare dal ridere.

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