giovedì 26 febbraio 2009

Un po' Douglas Adams e un po' Leopardi, questo Andreas Seyfarth. Del perchè preferiamo l'isola dei Caraibi, alla conquista del mondo

Lontano da noi, negli interminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete delle carte geografiche intergalattiche, al centro della Spirale est di Andromeda IV, ci sono due piccoli e tiepidi soli di elio e idrogeno. Ad orbitare intorno ad essi, insieme ad altri quattordici pianeti, c'è un ammasso di terra, acqua e ferro incandescente a forma geoidale i cui abitanti sono tanto curiosi, acuti e nerd da elaborare sistemi filosofici su fogli di cartone colorato, pezzi di plastica e regole scritte valide per tutti.
Il primo grande sistema di pensiero con cui questi uomini hanno cercato di spiegare e governare il mondo era formalizzato dai fratelli Parker, e si basava sull'idea di un libero arbitrio umiliato e aggredito da una presenza spirituale cinica e stolta, che decreteva successi e fallimenti sulla base di qualche taglio a forma rotonda scalfito sulle facce di piccoli cubetti rotolanti. Nelle logiche di questa costruzione, la complessità del reale veniva spazzata via dalla subordinazione degli uomini a una sorte inappellabile e sorda. Addirittura, secondo queste teorie, gli uomini erano chiamati a pescare delle carte disposte casualmente in un mazzo mescolato da uno di loro (e girate verso il basso, per di più) che nella stragrande maggioranza dei casi avrebbe scritto il loro futuro.
Naturalmente, il malvagio feticcio, architetto di questa trappola filosofica, aveva previsto i loro scetticismi sulla bontà del sistema, e di conseguenza allestito nel suo edificio elementi di bravura, capacità individuale e una bozza di imprevedibilità, per due ulteriori motivi: non permettere a uomini stupidi e sprovveduti di fare strada solo con l'aiuto del fato, e consolare i capaci delle loro sfortune con uno stordimento oppiaceo tramite cui potevano rifugiarsi dai mali del mondo.
Il risultato, a quel punto, fu una sbronza colossale.
Gli uomini non furono sufficientemente razionali da capire la realtà, e cedettero a tutti gli inganni di questa macchinazione diabolica: si divertirono come dei pazzi, elevarono idoli e sacrificarono amicizie, in nome di quella -a loro avviso- straordinaria unità di misura del cosmo. Cronache lontanissime ci parlano, addirittura, di discussioni frenetiche nel cuore della notte su delle giostre installate nei parchi pubblici di un piccolo villaggio di quel pianeta.
L'era dell'assoggettamento durò così per molte lune, e molte piogge ancora. Poi le più influenti forze del cosmo si adunarono, e decisero che gli uomini del pianeta erano pronti ad evolversi, ed intraprendere il cammino che è proprio dei saggi: poter consultare le opere di Andreas Seyfarth, principale esponente della scuola Aleatica.
Da quel momento, tutto cambiò per sempre e nulla fu più come prima.
Alla specie dominatrice della terra fu proposto un nuovo sistema filosofico. Subito, essi si accorsero delle sue straordinarie qualità. Era più veloce da capire e convinceva più persone. Le sue logiche principali non si basavano su una repressione della complessità del reale, ma su una sua esaltazione. Quando gli schemi di imponderabilità e invalutabilità di questo cosmo si dispiegarono di fronte agli uomini, e li chiamarono alla partecipazione attiva, loro furono finalmente in grado di comprendere il fascino delle variabili che giorno dopo giorno determinano successi e disgrazie delle vite umane, e migliorarono le capacità di calcolo e previsione che col sistema precedente erano solo abbozzate. I nostri presero atto della bellezza intrinseca di un mondo non più regolato da una sorte indifferente e arrogante, ma dalle loro stesse azioni. Inaugurarono un rapporto fecondo con la terra che abitavano, cercando di sfruttarne i doni con il lavoro di coloni obbedienti. Anno dopo anno, fabbricarono edifici funzionali ai loro scopi e ricavarono benessere e prestigio come frutto del loro sudore. Cominciarono ad affrontare i problemi estesi su un piano orizzontale, in cui la gerarchia del potere li vedeva titolari insostituibili. Il puro divertimento di pochi a discapito della noia di molti fu sostituito da un impegno costante e da una tensione agonistica molto forti, capaci di garantire una notevole quantità di gioie e soddisfazioni. I sostenitori di questa struttura normativa capirono così il valore della propensione al rischio, dello spirito imprenditoriale, della competizione trasparente, della decisione fulminea, e, soprattutto, delle conseguenze delle loro azioni. Impararono così ad assumersi le responsabilità di tutto quel che succedeva senza ricorrere a facili superstizioni. La spiegazione dei mali del mondo non si realizzava più, quindi, nel segno di una consolazione indotta e alterata: il progresso portato da questa nuova tavola dei valori aveva insegnato l'importanza del saper prendere le misure alle fatalità e alle coincidenze negative, e indicato la via migliore per rifarsi dopo esperienze fallimentari: essere attenti e razionali, cercando di intuire il momento più adatto per la mossa d'istinto che avrebbe potuto aprire la strada al sogno e alla serenità.

La portata di queste idee fu rivoluzionaria, per gli uomini di questo strano pianeta. Cambiò la loro esistenza e il loro rapporto con l'universo. Inoltre, li influenzò al punto da convincerli a dedicarsi alla costruzione di un sistema filosofico ideato e realizzato da loro stessi.
Ma solo il tempo custodisce la fine di questa storia, e solo a lui dobbiamo chiedere di sapere cosa è stato, del loro lodevole progetto.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

e pensare che ancora c'è chi non vuol capire, chi non cerca la verità...dovremmo forse avere la presunzione di ergerci a missionari del vero, nella convinzione di fare del bene?

GF ha detto...

Caro anonimo, se c'è una cosa che Seyfarth insegna, è che solo le conseguenze delle tue azioni ti possono dire qualcosa sulla loro bontà: il resto, è una questione etica, o di cuore. In entrambi i casi, la scelta è tua.

(Post risistemato, avevo pubblicato un salvataggio vecchio, non so come.)

Anonimo ha detto...

Capisco ben poco dei vostri due interventi. O sono scemo io o non vi siete espressi bene. Mi rivolgo a te Geffe, chiedendoti in particolare cosa intendi quando dici che "in entrambi i casi la scelta è tua". In quali casi? Citi l'etica e il cuore ma non trovo un collegamento.
Comunque lo sapevi che Andreas Seyfarth è l'autore di Puerto Rico?

Anonimo ha detto...

Ovviamente c'è stato un misunderstanding da parte mia. Ora che sono consapevole del reale significato del post non posso far altro che complimentarmi con l'autore che ha saputo cogliere (e descrivere) appieno il gigantesco gap esistente tra SPQ e Puerto.