mercoledì 23 settembre 2009

"Ho fatto sei burqa e due corani, lascio?"

Daniela Santanchè va in Tv dopo essere stata aggredita (storia risaputa, a grandi linee) e dice delle cose. Ogni cosa che dice, un pubblico di massaie batte le mani. A una signora che cerca di aprire un momento di contraddittorio, Daniela Santanchè dice: "Provi lei a mettersi il burqa".
Quello che pensa Daniela Santanchè è questo, pressapoco: il problema, da quelle parti, è quello in cui credono. E' il testo, non l'interpretazione. E' la radice, non il ramo. E' la cultura, non le pratiche. E' l'islam. Nessun ospite ribatte. Al massimo, la conduttrice fa -molto cautamente- il multiculturalista avvocato del diavolo: "Ma secondo te non è che loro si sono sentiti offesi, per la loro cultura islamica?" Il che suona tipo: non è che sono stronzi sin da quando sono nati?
Naturalmente, nello studio televisivo (siamo su Canale5, il pomeriggio) non c'è uno straccio di ospite che dica una cosa minima, almeno per dare una bussola al discorso. E cioè che il burqa col Corano c'entra poco o niente. Che da nessuna parte, nel Corano, si obbligano donne a mettere il burqa, pena chissàche.
E allora, visto che si esclude la sua malafede, supponiamo che Daniela Santanchè non sappia alcune cose dell'islam.
Converrà spiegargliele, non prima di aver esplicitato una posizione che, teoricamente, dovrebbe esonerarmi da sue immaginarie accuse di ricchionismo terzomondista, filoterrorista, meticcio e ateo.
Tale posizione è la seguente: a me, il burqa sta molto sul cazzo.

Ma dicevamo.
L'islam, Daniela Santanchè, è una cosa molto complicata.
E' qualcosa di più di una religione, nella misura in cui, al suo interno, spicca decisamente un elemento giuridico di organizzazione della società. Sì, non tira dentro solo il rapporto fra fedele e Dio, ma anche fra fedeli e fedeli, o fra fedeli e infedeli.
Non che tutto sia previsto, lì dentro eh, ma un bel po' di cose sì. In questo, è abbastanza simile (abbastanza simile) alla Torah ebraica. Lì, per esempio, vero?, c'è scritto di vestirsi di bianco, di costruire capanne e di lapidare le adultere.
L'islam, Daniela Santanchè, una Chiesa non ce l'ha. Non nel senso di luogo di culto, sciocchina, nel senso di istituzione gerarchica, verticizzata e universalmente riconosciuta come punto di riferimento per la congregazione di fedeli. Noi abbiamo il Papa, la CEI. Abbiamo il pastore, e abbiamo il gregge.
E i musulmani? I musulmani non hanno una Chiesa.
Hanno, invece, una quintalata di scuole interpretative del Corano. Hanno tanti pastori, che non necessariamente condividono lo stesso stile, anzi. Da questo, deriva una molteplicità di greggi. Rispetto alla complessità e alla contraddittorietà del testo sacro di riferimento, i fedeli musulmani non hanno una voce che dice 'des te spieghi mi sel dis cusè, ma una serie di scuole di pensiero, anche in contrasto tra loro.
Se un cristiano cattolico entra in una chiesa, che questa chiesa sia in Francia o in Brasile, cambia poco: il messaggio è universale, lo spazio per le interpretazioni è molto ridotto e il santo padre l'è semper lù.
Se un musulmano entra in una moschea, può trovare leader spirituali che dicono cose anche molto diverse, tutti fondandole sui testi sacri, chiaro.
Di scuole interpretative (giuridiche, teologiche o entrambe) dicevo, ce n'è una quintalata. E' qui che la faccenda si complica, ed è qui che la sua posizione diventa oltranzista e ignorante: è nella pluralità delle tradizioni islamiche che nasce il conflitto con le nostre società.
In mezzo alla quintalata di scuole, infatti, ce ne sono parecchie di matrice totalizzante e integralista. Ce ne sono che basano l'organizzazione della collettività su principi che noialtri in Occidente non accettiamo e detestiamo. Ce ne sono che stabiliscono un'equivalenza fra peccato contro Dio e crimine contro lo stato, annullando così le possibilità di scelta e gli spazi di tolleranza. Ce ne sono che magari non stabiliscono un'equivalenza netta, però ci vanno giù duro comunque. E' a causa degli insegnamenti generati da dottrine così totalizzanti, che molti fedeli musulmani ritengono sacri comportamenti e stili di vita che nelle nostre società secolarizzate, addirittura, talvolta configurano reati.
Di scuole, però, naturalmente ce ne sono anche di più modernizzanti e "laiche", per usare un termine inflazionato.
Ce ne sono di tutti i tipi. Ma ho l'impressione che a lei, Daniela Santanchè, di tutti 'sti tipi non freghi una mazza. Che non abbia la minima curiosità di capirne idee e storia, pratiche e differenze. Che rifiuti la conoscenza, preferendole il lancio di slogan come scontro di civiltà e religione antidemocratica.
Che la sua voglia di affermare la superiorità della civiltà cristiana (qualsiasi cosa essa sia) su quella islamica sia troppo forte, e la porti a divulgare idee sbagliate. Che lei, per dirla facile e farsi capire dalla pancia dell'elettorato, vada un tanto al chilo.
Altrimenti, lei saprebbe che le scuole coraniche sono tutte d'accordo nel dire che il Corano non obbliga nessuno a mettere il burqa. A proposito, legga qui cosa dice la sura 33 (trovata su Wikipedia, mica sul Capitale di Marx): "...Oh Profeta! Di' alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si ricoprano dei loro mantelli; questo sarà più atto a distinguerle dalle altre e che non vengano offese..."
Mantelli atti a distinguerle. Chiaro, no? Il Corano dice: donna, fatti vedere in faccia altrimenti è un casino. Quindi il burqa è escluso.
E allora, 'sto burqa, da dove diavolo salta fuori?
Beh, dal deserto, è ovvio. C'è un gran caldo, c'è un vento che non ti dico. Sai che faccio? Mi metto su 'sto coso e fanculo sia al caldo che al vento.
C'è solo un tipo di burqa? No. Quello contro cui si scaglia lei, Daniela Santanchè, e che pure a me sta molto sul cazzo, ripeto, è quello afghano.
Ma il burqa afghano, porcapupazza, è una roba che si sono inventati i talebani. Cioè, c'era da tempo, per via del fatto che quella zona è una gigantesca gola riarsa buona solo per coltivare oppio, ma poi è stato ripescato dai talebani. Per legge (mica con una fatwa), quei mascalzoni hanno obbligato le donne afghane a girare in pubblico solo se accompagnate da un consanguineo - e a indossare il burqa.
Con un provvedimento pubblico, sono intervenuti nella sfera privata, intima, delle donne e le hanno obbligate a fare una cosa che, molto probabilmente, nessuna di loro voleva fare.
Oggi, l'ordinamento dello stato afghano non prevede più il burqa, ma nel Paese, per paura di ritorsioni da parte delle bande fanatiche che puntano a ripristianre il regime talebano, tante donne ancora lo indossano.
Il problema, nelle società occidentali, è duplice. Da una parte, c'è da evitare che le donne siano obbligate da mariti oppressivi a indossare il burqa, dato che obbligare la moglie a indossare qualunque cosa non si fa. Dall'altra parte, c'è la questione della sicurezza: i cittadini devono essere identificabili. E qui constatiamo lo scarto culturale, la difficoltà di inserirsi nella sfera famigliare di immigrati per capire come risolvere problemi verificare eventuali abusi dei nostri codici legislativi.
Questa, più o meno, è la situazione.
Questa, più o meno, è la storia della faccenda.

Il problema, e il senso di questo post volendo, è che lei di mestiere fa la politica. Rappresenta delle persone. E dovrebbe rappresentarle alla luce di un'approfondita conoscenza delle materie che tratta. Se lei ha preso delle botte da un rimbambito, mi perdoni la schiettezza, ma chissenefrega: è un evento che non aggiunge nulla alle sue pretese battaglie, e che non necessariamente arricchisce la bontà del suo impegno. Tanto più che -lei lo sa e un po' ci marcia su 'sta cosa- negli anni si è guadagnata una forte antipatia da parte di quella fazione più radicale dell'islam italiano. E quindi trovo compatibile (ho scritto "compatibile") con toni e strategie della sua campagna, che qualche idiota -dato che è idiota- le molli un ceffone o le dia della zoccola.
Ma quello che si ha a cuore, da cittadini, è il tipo di consenso che lei contribuisce a formare, e l'orientamento generale che lei suggerisce su questi temi così delicati del vivere collettivo.
Vista da qui, mi creda, la sostanza non va oltre un minestrone casalingo di cari valori cattolici, misere tirate d'indipendentismo femminista e odio per il barbuto con la scimitarra. Un miscuglio inseparabile dall'ignoranza che rovescia sui nodi della questione dibattuta.

Ci sarebbero altre cose da dire, ma mi fermo qui: un po' per competenza personale, un po' per lunghezza del post.
Comunque, se vuole combattere il fanatismo islamico, ascolti un tipo intelligente come Aaron Sorkin, Daniela Santanchè. Che sarà cocainomane e biscazziere quanto vuole, ma è uno che sa il fatto suo. Legga la sua ricetta per sconfiggere gli integralismi religiosi: Remember pluralism. Keep on accepting more than one idea. It makes them absolutely crazy. (cit.)

1 commento:

Nich ha detto...

Che la questione "fondamentalismo islamico" sia affrontata, Santanchè inclusa, spesso con estrema superficialità e scarsa conoscenza è fuori discussione. Rimane un dubbio di fondo però. Non sono così convinto che le implicazioni coraniche nei confronti dell'organizzazione della società siano così differenti da quelle illustrate nella Bibbia. Questo mi porta a pensare che non sia un problema di testo, bensì di interpretazione. La civiltà occidentale è riuscita meglio a plasmare il sacro testo, a secolarizzarlo, mentre quella islamica soffre ancora di una tremenda arretratezza culturale.
Non mi convince, infine, la citazione finale. Non penso che basti una semplice propensione al pluralismo. Come dice Bennato (citazione certamente meno illustre ma non per questo meno valida), "per scuotere la gente non bastano i discorsi, ci vogliono le bombe" (non nel senso "bush-ano" del termine ovviamente...)